Dalmine ricorda la sparatoria
«Un caffè insieme, poi l'inferno»

«All'improvviso arrivò la comunicazione di chiudere tutti i caselli da Dalmine fino a Brescia: c'era stata una sparatoria e due poliziotti erano stati uccisi». È il ricordo di Andrea Angioletti, che ai tempi lavorava al casello autostradale di Dalmine.

«All'improvviso arrivò la comunicazione di chiudere tutti i caselli da Dalmine fino a Brescia: c'era stata una sparatoria e due poliziotti erano stati uccisi». È il ricordo di Andrea Angioletti, che ai tempi lavorava al casello autostradale di Dalmine.

Rievoca, non senza emozione, gli ultimi istanti di vita di Luigi D'Andrea e Renato Barborini, i due agenti della polizia stradale trucidati dalla banda Vallanzasca il 6 febbraio 1977.

A pochi metri dal monumento che ricorda l'eccidio di Dalmine, Angioletti parla e stringe tra le mani una copia del giornale dell'epoca, un giornale che custodisce gelosamente in una cartella di plastica.

«Coi due poliziotti uccisi eravamo amici – continua Andrea Angioletti – si erano fermati da noi per prendere il caffè alla macchinetta...» il racconto si blocca mentre arriva Gabriella Vitali D'Andrea, la moglie del poliziotto assassinato. «Mi sento in colpa – le sussurra – quella mattina ci eravamo incontrati presto e Luigi mi aveva detto: "Sei in servizio? Allora dopo passo a trovarti"». Le parole restano sospese, poi Angioletti prova ad abbozzare: «Se non...» e si interrompe. È il dramma di quella tragedia che riesplode nei ricordi e nei cuori di parenti e amici.

Attorno al monumento, per il ricordo, ci sono tutti: colleghi, oggi in pensione, e giovani appartenenti alle forze dell'ordine – poliziotti, carabinieri, finanzieri, vigili – che quando ci fu la strage non erano nemmeno nati. Eppure sono lì «comandati» da sentimenti di pietà e solidarietà.
Il picchetto rende gli onori davanti al monumento, accanto i rappresentanti delle istituzioni, dal sindaco di Dalmine Claudia Terzi, all'assessore Leonio Callioni del Comune di Bergamo, dal presidente del Consiglio provinciale Roberto Magri al questore Fortunato Finolli, al tenente colonnello Giuseppe Serlenga dei carabinieri.

In mezzo a loro quasi stretti in un abbraccio: Gabriella Vitali D'Andrea e Alberto Barborini, il fratello del poliziotto ucciso giunto, come ogni anno, da Trento dove risiede. Viene deposta la corona del capo della polizia, poi don Giulio Marchesini, assistente spirituale della polizia, recita la preghiera e con ampio gesto della mano benedice. +

La tromba intona il «Silenzio» e anche il ruggito del traffico sembra per qualche istante tacere nel ricordo del sacrificio dei due servitori dello Stato.

Su L'Eco di Bergamo del 7 febbraio

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