A Bergamo per essere curati
Una cinquantina di libici in città

Una cinquantina di cittadini libici - uomini, donne e bambini - sono arrivati nella nostra città nei giorni scorsi - alloggiano in un hotel del centro - per ricevere cure e trattamenti sanitari in alcune strutture bergamasche.

Una cinquantina di cittadini libici - uomini, donne e bambini - sono arrivati nella nostra città nei giorni scorsi - alloggiano in un hotel del centro - per ricevere cure e trattamenti sanitari in alcune strutture bergamasche. La notizia non trova conferma ufficiale da parte delle autorità, ma sono stati gli stessi libici a raccontarci le circostanze del loro arrivo a Bergamo.

L'ospedale Humanitas Gavazzeni conferma di essere stato contattato per fornire prestazioni sanitarie; mentre al momento al Giovanni XXIII non sarebbero giunte richieste. Fatto sta che sabato 2 febbraio alcune ambulanze della Croce Verde di Albino hanno portato dei pazienti, che fanno parte del gruppo, in alcuni presidi medici, probabilmente per delle prime visite.

Kamal, 44 anni, prima della guerra lavorava come ingegnere e, in un ottimo inglese, ci spiega come mai lui e i suoi concittadini si trovano qui: «Veniamo tutti da Zintan (città situata nel Nordovest della Libia, a 136 chilometri da Tripoli e vicino al confine con la Tunisia, tra le prime a impugnare le armi contro Gheddafi, sul fronte delle montagne occidentali, ndr). Siamo qui perché ci hanno detto che le cliniche e gli ospedali sono ottimi, come i vostri dottori. Dobbiamo curarci: molti hanno combattuto durante la guerra, altri sono civili vittime dei bombardamenti». La popolazione di Zintan, durante i primi giorni della rivolta contro il regime, si era rifiutata di accettare le tangenti che il governo di Gheddafi offriva in cambio della sua fedeltà: il paesaggio della piccola città, con le sue gole e le sue caverne, era un territorio ideale per i ribelli.

Gli ospiti libici hanno le età più varie, in media sui trent'anni. Ognuno ha riportato diverse ferite o da combattimento o a causa degli attacchi delle bombe e perciò ha bisogno di trattamenti mirati o di essere operato. «Non riusciamo ancora a dormire tranquillamente - prosegue Kamal -, sogniamo le bombe sopra di noi, uomini che ci puntano le armi e vogliono spararci. Non amiamo la guerra, amiamo la pace ed andare d'accordo con gli altri popoli. Ora che siamo qui, vogliamo solo parlare con le altre persone, stare tranquilli: siamo essere umani, anche se spesso i mass media ci rappresentano in modo diverso».

Per saperne di più leggi L'Eco di Bergamo del 3 febbraio

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