Yara scomparve due anni fa
«Un caso poliziesco sfortunato»

«Un delitto perfetto? No, non ci credo. La verità è che in 35 anni di polizia non mi sono mai imbattuto in un caso così sfortunato». Così Vincenzo Ricciardi (ora in pensione), questore di Bergamo quando Yara scomparve. Sono passati due anni.

«Un delitto perfetto? No, io non ci credo. La verità è che in trentacinque anni di polizia giudiziaria non mi sono mai imbattuto in un caso così sfortunato, in una serie di coincidenze negative per noi che abbiamo indagato, e favorevoli per quel delinquente».

Era appena arrivato a Bergamo come questore, Vincenzo Ricciardi (ora in pensione), quando Yara scomparve nel nulla. Sono passati due anni: era il 26 novembre del 2010.

Da investigatore navigato, con anni di squadra mobile alle spalle – di cui una decina proprio alla questura di Bergamo, tra gli anni Ottanta e i Novanta - Ricciardi capì subito che la sparizione misteriosa della tredicenne di Brembate Sopra non era un caso come tanti altri.

«Nella vita di quella ragazzina – ricorda Ricciardi – non trovammo neppure un'ombra, così come in quella della sua famiglia. Gente per bene, che con grande forza ha dovuto affrontare una prova durissima».

Risolvere il caso di Yara, per Ricciardi e gli uomini che allora coordinava, così come per i carabinieri e la procura, divenne da subito l'unico obiettivo di lunghe giornate di lavoro.

«Sono molto amareggiato, come uomo e come poliziotto». Così Ricciardi definisce in un'intervista a L'Eco di Bergamo il suo stato d'animo

È stato fatto tutto il possibile?
«La professionalità c'è stata. La polizia ha messo in campo i migliori. Abbiamo cercato dappertutto, verificato ogni pista, senza trascurare nulla. È stato creato un pool di investigatori fra polizia e carabinieri di Bergamo, Sco e Ros: i più bravi a disposizione. I tabulati telefonici, solo per fare un esempio, sono stati studiati dai più qualificati esperti di Roma. La mia speranza è che prima o poi arrivi quell'input in grado di imprimere una svolta».

Tutta l'intervista è su L'Eco di Bergamo del 24 novembre

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