Dario Zambelli resta in carcere
«No» dei giudici ai domiciliari

Dario Zambelli deve restare in carcere. Lo ha stabilito il Tribunale del Riesame di Milano, respingendo l'istanza con cui i legali dell'ex manager del turismo targato Cisl (avv. Bruni e Bana) chiedevano la revoca della misura cautelare o gli arresti domiciliari.

La decisione è stata depositata in cancelleria nel pomeriggio di giovedì: Dario Zambelli deve restare in carcere. Lo ha stabilito il Tribunale del Riesame di Milano, respingendo l'istanza con cui i legali dell'ex manager del turismo targato Cisl (gli avvocati Roberto Bruni e Giuseppe Bana) chiedevano la revoca della misura cautelare o almeno, in subordine, la concessione degli arresti domiciliari.

Secondo i giudici, dunque, permangono le esigenze cautelari che erano già state ravvisate dal gip nei confronti di Zambelli: il pericolo di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Questo è il contenuto del dispositivo del Riesame: per conoscere le motivazioni della decisione occorrerà attendere alcuni giorni.

Dario Zambelli, funzionario della Cisl di Bergamo, arrestato l'8 ottobre scorso, era il responsabile di Borgunitour e Bert Unitour, società di turismo controllate dalla Cisl di Bergamo, per conto delle quali aveva partecipato ad alcuni bandi di gara (per 32 milioni di euro) del Comune di Milano per l'assegnazione della gestione di case vacanza per bambini. Bandi vinti ma, sostengono gli inquirenti, senza che le società amministrate da Zambelli avessero i requisiti in regola e soprattutto grazie alle presunte «spinte» del funzionario del Comune di Milano, Patrizio Mercadante, anch'egli residente a Bergamo, già preside dell'istituto per geometri «Quarenghi» e uomo di fiducia dell'ex assessore bergamasca al Comune di Milano, Mariolina Moioli.

Anche Mercadante è stato arrestato nell'ambito della stessa inchiesta e si trova rinchiuso a San Vittore, come Zambelli. Oltre all'accusa di turbativa degli incanti in concorso con l'ex manager Cisl, Mercadante è accusato anche di corruzione e truffa, per un finanziamento da 100 mila euro concesso alla Fondazione Pini di Milano, in cambio – è la tesi degli inquirenti – di 20 mila euro ricevuti attraverso presunte consulenze fittizie. L'inchiesta milanese dipinge poi una presunta «cerchia» di amici politici, imprenditori e rappresentanti delle istituzioni, che si sarebbero scambiati favori, e di cui farebbe parte anche Mariolina Moioli (che però non risulta indagata).

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