«Scappava da Dalmine
con la nostra Fiat 128»

«Il tempo passa, è vero, ma ho ancora i brividi sulla pelle. E sapere che Renato Vallanzasca è al lavoro a Sarnico mi ha lasciato a bocca aperta. Mercoledì stentavo a sfogliare L'Eco di Bergamo».

«Il tempo passa, è vero, ma ho ancora i brividi sulla pelle. E sapere che Renato Vallanzasca è al lavoro a Sarnico mi ha lasciato a bocca aperta. Mercoledì stentavo a sfogliare L'Eco di Bergamo». Inspira lentamente la pensionata del Basso Sebino, forse per cercare coraggio dopo essere inciampata nei ricordi.

Ed è come se il rintocco di ogni secondo le facesse male, come il sangue che pulsa in una ferita. Era il 6 febbraio 1977, lei con la sua famiglia erano in autostrada, sull'A4 e stavano tornando a casa. Racconta: «Vallanzasca e il suo complice ci presero l'auto per fuggire dopo la strage di Dalmine. Sono flashback che tolgono il respiro e che di continuo conservo, anche se sono trascorsi 35 anni».

Quel giorno la signora alzò lo sguardo, un battito di ciglia e nell'inquadratura entrarono due giovanotti poco più che ventenni, armati. Uno di loro era ferito. Più tardi, dopo che tutto era ormai compiuto, hanno saputo che uno dei banditi era Renato Vallanzasca, il principe della malavita di quegli Anni di piombo.

La coppia di pensionati oggi vive a cinque chilometri da Sarnico. Raccontano, ma dietro precisa richiesta di mantenere l'anonimato. «Tornavamo da Milano in autostrada con la nostra Fiat 128 – ricorda lui –. Eravamo io, mia moglie e i nostri tre bambini piccoli sul sedile posteriore. Uno doveva fare pipì. Sai come sono i bambini, ti devi fermare subito. Così ho fatto, in uno slargo della corsia di emergenza che oggi sta nelle vicinanze di Oriocenter».

«Nemmeno il tempo di respirare è dietro di noi si ferma una macchina, se non ricordo male una Fiat 132. Scendono in due, bussano ai finestrini e ci intimano di lasciar loro la nostra auto. Poche parole, ma decise. Hanno visto i bambini, non hanno gridato, nessuna prepotenza e violenza, quasi in una specie di riguardo. Uno perdeva sangue. Erano armati».

«Siamo scesi dall'auto e siamo rimasti lì a piedi, senza capirci niente, ma con i brividi e i bambini che piangevano. Si è fermata poco dopo un'automobilista di passaggio, che ha riportato a casa mia moglie e i bambini. Io sono rimasto lì, senza sapere niente di quello che era accaduto».

I banditi arrivavano sparati dal teatro di sangue di Dalmine, dove avevano da poco ammazzato i due agenti della polizia stradale. I servitori dello Stato, in un posto di blocco al casello autostradale, avevano fermato per un controllo la vettura su cui Vallanzasca viaggiava. Ne seguì uno scontro a fuoco, gli agenti Luigi D'Andrea e Renato Barborini finirono a terra. Il bandito ferito e il complice stavano scappando.

Li hanno presi poco più di un mese dopo. «Sono stati attimi terrificanti - ricorda il pensionato -. A un certo punto ho sentito il vento di un elicottero. Poi le pattuglie della stradale, la A4 venne chiusa. A quel punto mi hanno raccontato cos'era successo. Partecipai anche al processo per la deposizione. Oggi ci sforziamo di dimenticare. Ma saperlo a Sarnico, nei nostri paesi, ferisce. Anche se a noi non hanno torto un capello».

Luca Cuni

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