«Basta silenzi omertosi»
In mille alla fiaccolata anti-mafia

«Basta silenzi omertosi»: è l'appello lanciato dal migliaio di bergamaschi che nella serata di mercoledì 23 maggio hanno partecipato alla fiaccolata anti-mafia organizzata da Libera, Acli, Arci, Caritas e dai sindacati Cgil, Cisl e Uil.

«Basta silenzi omertosi»: è l'appello lanciato dal migliaio di bergamaschi che nella serata di mercoledì 23 maggio hanno partecipato alla fiaccolata anti-mafia organizzata da Libera, Acli, Arci, Caritas e dai sindacati Cgil, Cisl e Uil nel ventesimo anniversario dell'uccisione del magistrato Giovanni Falcone, di sua moglie e della scorta nella strage di Capaci.

I partecipanti si sono radunati verso le 20,30 in via Pradello, sede del provveditorato, dove è stato osservato un minuto di silenzio in memoria di Melissa, la ragazza morta nell'attentato alla scuola di Brindisi, e dove due studentesse della Consulta provinciale, Anna Gamba del liceo scientifico Amaldi di Alzano e Benedetta Campoleoni del liceo classico Sarpi, hanno letto le loro riflessioni.

Il corteo ha attraversato via Verdi, via Petrarca, via Roma, piazza Vittorio Veneto, il Sentierone arrivando in via Tasso, sede della prefettura. Gianmario Vitali, di Libera Bergamo, ha ricordato le tante vittime dela mafia, dal sindacalista Placido Rizzotto al politico Pio la Torre, dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a Falcone e Borsellino evidenziando come siano stati «uomini soli, colpiti nel modo più violento perché nessuno li ha protetti».

«Sì, nessuno, né le istituzioni, né i cittadini e non parlo soltanto di quelli siciliani, ma anche di quelli del nord, di noi, perché probabilmente pensavamo che la mafia non fosse un fenomeno che ci riguardasse».

Lo striscione «Per non dimenticare, contro l'indifferenza» che apriva il corteo è stato realizzato dagli studenti del liceo artistico Manzù.

Chiara Lodovici (dell'Istituto Maironi da Ponte, di Presezzo) in mattinata aveva partecipato con molti altri studenti alle iniziative della memoria in ricordo di Borsellino e Falcone. Ecco il suo intervento: «Da sempre viene facile credere che la mafia sia qualcosa di lontano da noi; qualcosa che riguarda solo il sud Italia, qualcosa di simil tribale che esiste solo lì, nel meridione d'Italia. Spesso ci viene presentato così, il fenomeno mafioso, in un modo un po' caricaturale, apparentemente lontano dalla nostra realtà di tutti i giorni. Sappiamo che non è così: il fenomeno mafioso è ovunque, si è da tempo allargato anche qui, a casa nostra; molti soldi li fa – o li ricicla – qui al Nord: appalti, immobili e riciclaggio, sfruttamento delle persone, droga. Sopratutto droga. Dalle droghe “leggere”, quelle per lo sballo del sabato sera, fino ai grandi giri della cocaina e dell'eroina: non è impossibile trovare il consumatore che conosce lo spacciatore di paese, il quale si rifornisce dallo spacciatore di zona, che a sua volta fa affidamento ad un anello superiore in diretto contatto con i vertici delle associazioni mafiose. Non è uno scenario da film, è qualcosa che anche noi giovani riusciamo a capire, ad intravvedere, a riconoscere. Potremmo parlare dei danni causati direttamente o indirettamente all'uso delle sostanze stupefacenti; potremmo dirci del disastro economico e personale, umano, al quale giovani ragazzi sono costretti per inseguire il falso mito dello “stare bene”, ma oggi mi interessa soffermarmi sul fatto che acquistare droga significa sostanzialmente sostenere e finanziare un'organizzazione criminale che distrugge il nostro bel paese, logora l'immagine dell'Italia e sopratutto massacra intere famiglie incidendo in modo drammatico sulla vita delle persone. La mafia uccide. Uccide persone libere, innocenti. Uccide persone che si battono per la libertà perché amano il proprio paese. Senza pietà, senza distinzioni. E' stato così per Falcone e per Borsellino, per gli uomini delle loro scorte, per ogni persona che si metta di traverso rispetto alle logiche di terrore che la mafia diffonde. Ho avuto recentemente l'opportunità – nel corso di un incontro organizzato dall'Associazione “Libera” – di ascoltare un intervento del presidente dell'antiracket di Gela. Un uomo ovviamente a rischio, sempre protetto dalla scorta, come molte altre persone – in Italia - che mostrano il proprio coraggio privandosi della propria libertà per cercare la libertà di tutti. Quando gli abbiamo chiesto cosa potessimo fare noi ragazzi qui, a casa nostra, nel Nord che fa i conti con l'illegalità, ci ha risposto che il gesto più utile, immediato e semplice, è quello di non assumere le "droghe leggere", anzi – diceva – di combatterne la diffusione attraverso l'informazione, il confronto, il lavoro di prevenzione tra ragazzi e ragazze. Personalmente avevo già una chiara posizione in merito all'uso di queste sostanze: la sua risposta non è stata che la conferma di quanto pensavo. Mi sono detta che non avrei mai sostenuto chi vive sulle spalle degli altri seminando morte e desolazione. Non voglio stare dalla parte di chi ruba la libertà ad altre persone, ruba la vita e il senso del vivere in armonia con sé e con gli altri. Così non posso che ripetere lo slogan che porto fiera sulla cartella, che diffondo, e che molti giovani – ne sono davvero contenta - condividono: NON COMPRO DROGA. NON FINANZIO LA MAFIA!».


Ecco invece l'intervento di Bendetta Campoleoni (Liceo Sarpi): «Nel 1991 Giovanni Falcone pubblicherà, dopo una lunga serie di interviste rilasciate alla giornalista francese Marcelle Padovani, il libro “Cose di Cosa Nostra”, una sintesi chiara ed efficace della linea d'azione favorita dal giudice nella sua strenua lotta alla criminalità organizzata. Il contributo che Falcone ha portato alla giustizia italiana ma non solo, all'ideale italiano di giustizia, è noto a chiunque, in Italia come in Europa e nel resto del mondo. Mi sembra valga la pena riprendere, oggi, una cosa in particolare che ha colpito non solo il mio interesse, ma anche la mia ammirazione nei confronti della profonda conoscenza che Falcone mostrava di avere verso l'animo umano e del rispetto che portava verso ognuno. Più volte, nelle sue affermazioni circa i colloqui con i cosiddetti “pentiti”, si sottolinea come essi siano in tutto e per tutto come il resto delle persone. Fu criticato aspramente per questo: addirittura giudicato scandaloso, fece paura come Falcone descriveva un tipo di società per quello che effettivamente era, non unicamente con l'obbiettivo limitato e ristretto di sottolinearne i caratteri mostruosi e disumani. “La mafia assomiglia ai parlamentari, agli italiani, ai siciliani, agli uomini in genere. Non sono poi tanto diversi dai comuni mortali” è ciò che afferma in un'intervista a rai tre del '91 e ribadisce più volte nel libro stesso. Dichiarazioni pericolose e che fanno paura ma essenziali, perché affermando che gli uomini d'onore, i mafiosi, i criminali o comunque vogliamo chiamarli sono a tutti gli effetti degli esseri umani, si afferma come, dopotutto, la lotta contro la mafia non sia un'utopia ma un obbiettivo che può e deve essere raggiunto. Si lotta contro qualcosa che conosciamo e che fa parte delle prerogative umane, non contro un mostro dalle sette teste impossibile da uccidere o anche solo da combattere. Falcone ci aveva creduto e aveva raggiunto risultati impressionanti. Ma non aveva dovuto confrontarsi solo con un'organizzazione con mezzi potenti di intimidazione e distruzione, bensì anche con lo scetticismo di chi credeva che tutto il suo operato servisse soltanto ad agitare le acque, a creare caos in una società in cui mafia e Stato vivevano, paradossalmente, in un'armonia fatta di silenzi, corruzione e compromessi. Credo che serva, ora come allora e come in futuro, essere consapevoli del nostro potere, di quello che siamo in grado di fare come comunità e come nazione animata da quel desiderio di legalità che ha permesso ad un singolo, straordinario uomo di fare passi da gigante nella costruzione della giustizia».

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