Immigrati e lontananza da casa:
tanti a rischio di disagio psichico

Distacco dalla realtà originaria, mancanza di casa, difficoltà a comunicare, disoccupazione. Sono le ragioni di una fragilità psichica molto diffusa tra gli immigrati a Bergamo: il 20% dei pazienti al Dipartimento di Salute Mentale dei Riuniti è straniero.

Distacco dalla realtà originaria, mancanza di una casa, difficoltà a comunicare, disoccupazione e problemi d'integrazione in un contesto socio-culturale completamente nuovo. Sono queste le ragioni più comuni di una fragilità psichica molto diffusa tra gli immigrati a Bergamo, tanto che più del 20% dei pazienti in carico al Dipartimento di Salute Mentale degli Ospedali Riuniti è straniero. Un numero significativo se si considera che il rapporto tra italiani e stranieri è attualmente 1 a 10.

La maggior parte sono europei, africani e sudamericani, con età compresa tra i 24 e i 34 anni, disoccupati, operai o casalinghe, affetti da disturbi di tipo nevrotico, dominati da ansia, insicurezza ed eccessivo senso di inadeguatezza e insoddisfazione generali. Sono pazienti multiproblematici, perché portano con sé, oltre ai sintomi psichiatrici, tutte le difficoltà tipiche dell'immigrato, a cui gli operatori devono essere preparati a dare una risposta adeguata, in termini di cure e assistenza.

«L'aumento dei flussi migratori ha comportato – ha commentato Carlo Nicora, direttore generale degli Ospedali Riuniti - un incremento del numero delle persone affette da disturbi psichiatrici. È un fenomeno destinato ad amplificarsi nei prossimi anni, se consideriamo che nel nostro Paese arrivano ogni anno 100 mila nuovi immigrati e che già oggi a Bergamo un cittadino su 10 è straniero. Questo scenario ha richiesto una ridefinizione dei percorsi di cura, che devono essere basati su attività di supporto multidisciplinari e interventi di accompagnamento all'integrazione tramite la collaborazione con enti, strutture e persone del territorio, capaci di dare una risposta al paziente psichiatrico, non più inteso come portatore di un sintomo, ma una persona con una pluralità di bisogni, che, come accade con gli stranieri, possono essere anche molti articolati».

In ambito psichiatrico, questo significa una maggiore comprensione dei bisogni dei pazienti, delle loro famiglie e dei loro contesti di appartenenza e percorsi di cura complessi, dove infermieri, assistenti sociali, educatori professionali e tecnici della riabilitazione psichiatrica sono chiamati ad assumere un ruolo decisivo: quello di case manager, cioè di gestori del caso clinico e coordinatori di tutte le attività sanitarie, assistenziali e riabilitative di cui necessitano tutti quei pazienti che presentano una qualità di vita non soddisfacente, una scarsa aderenza al trattamento terapeutico e una sintomatologia grave.

Per insegnare agli operatori psichiatrici come diventare case manager, gli Ospedali Riuniti si sono fatti promotori di un percorso formativo articolato in tre anni, che ha coinvolto anche i Dipartimenti di Salute mentale delle altre due Aziende Ospedaliere della provincia, Treviglio e Seriate. Il percorso si è concluso con un master di primo livello, organizzato con l'Università Bicocca di Milano, dal titolo «Case management in psichiatria: le professioni sanitarie nella gestione dei pazienti multiproblematici e multiculturali», a cui hanno partecipato 43 operatori, dagli infermieri agli educatori, dai tecnici della riabilitazione agli assistenti sociali, con un'età compresa tra i 28 e i 56 anni.

Metà lavorano agli Ospedali Riuniti, mentre gli altri provengono da altre aziende ospedaliere, strutture e cooperative lombarde, tranne un'infermiera di Bologna. Tutti hanno frequentato il corso gratuitamente, grazie ai fondi stanziati per questo obiettivo da Regione Lombardia, e tutti hanno discusso le proprie tesi tra il 20 e il 27 febbraio.

«Gestire un caso clinico, funzione cardine del case manager, significa essere in grado di pianificare gli interventi in base ai bisogni effettivi dei pazienti e alle risorse disponibili – ha concluso Massimo Rabboni, alla guida del Dipartimento di Salute mentale degli Ospedali Riuniti -. Il master è stata l'occasione preziosa per dare ai professionisti gli strumenti teorici e pratici per diventare i concreti referenti del percorso di cura dei pazienti più gravi e gli artefici della realizzazione di reti sociali, naturali o di supporto, necessarie per favorire l'accesso ai servizi in modo da scongiurare l'isolamento sociale, spesso conseguenza della malattia psichiatrica, soprattutto tra gli stranieri, ma molto spesso anche tra i nostri concittadini che divengono, a causa della loro malattia, “stranieri in patria”».

A conferma dell'ampio e complesso lavoro di ricerca svolto dai Riuniti in questo campo, l'Ospedale di Bergamo, il Dipartimento di Salute Mentale dell'Ospedale di Cremona e quello dell'Ospedale Niguarda di Milano si sono fatti promotori del progetto, al vaglio della Regione Lombardia, per la creazione di un osservatorio permanente sull'epidemiologia e la clinica dei disturbi psichici nei pazienti migranti che abitano in Lombardia, regione che ospita più di un milione di stranieri.

L'osservatorio potrebbe consentire di confrontare l'accuratezza delle diagnosi e la riproducibilità delle tecniche diagnostiche, creando un flusso informativo affidabile e continuativo tra i vari Dipartimenti di Salute Mentale. Questo porterà anche alla definizione di indicatori specifici e permetterà analisi epidemiologiche e cliniche più raffinate e quindi approcci terapeutici condivisi e più efficaci.

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