Il vescovo: «Il maggior pericolo è dimenticare la speranza»

Di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata ieri dal vescovo, monsignor Roberto Amadei, nel solenne Pontificale per la festa di Sant’Alessandro, patrono di Bergamo

Celebrando il martirio di S. Alessandro ricordiamo una delle innumerevoli atrocità commesse, nel passato e nel presente, contro l’uomo, la sua dignità, la sua libertà, la sua vita. Violenza determinata dall’odio contro la fede, come nella vicenda di S. Alessandro e nelle molte uguali alla sua; dall’intolleranza per il forestiero, dal desiderio sfrenato per il proprio benessere che considera ogni altro, vicino o lontano, realtà da sfruttare e da ignorare, dalla prepotenza di chi pensa che il futuro è dei più forti o più furbi, comunque di chi si preoccupa esclusivamente di se stesso. Per il credente cristiano sono tutte contro la fede in Dio Padre di tutti, in Gesù Cristo presente con il suo Spirito in ogni persona. È il lato più oscuro e disumano del cammino dell’umanità. Però nella vicenda di S. Alessandro - e in quelle simili che sovente si sono susseguite nella storia - è brillata la luce di una umanità diversa, non rassegnata a questa notte dell’umanità, e fiduciosa in un futuro diverso. Nella sua mite, coraggiosa e serena accettazione della morte per fedeltà a Gesù Cristo, è brillata la luce di umanità accesa definitivamente sul Calvario. Gesù Cristo con le parole «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46) ha proclamato che il futuro di ogni persona è l’alleanza eterna con Dio. L’uomo non è una tra le tante realtà che compongono e si esauriscono nella storia, ma è unico perché chiamato a partecipare alla comunione con Dio Uno e Trino e con l’intera umanità. Quindi l’uomo non può essere subordinato a cose, a istituzioni o altro. Ha detto ancora «Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34); e al malfattore crocifisso con Lui «In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). Con tali parole e con la vita proclamava che Dio è padre ricco di compassione gratuita e misericordiosa per ogni suo figlio. Egli sta con ogni persona ma in particolare è vicino a chi è in qualche modo ferito nella sua dignità per aiutarlo a non permettere che nel suo cuore penetri la violenza, l’odio, il desiderio di vendetta: la dignità umana sarebbe ancora più offesa. Lo sostiene perché continui a credere, come Gesù in Croce, che è meglio essere crocifisso che crocifiggere, essere calunniato che calunniare, essere trattato con indifferenza che trattare gli altri con indifferenza, subire violenza che essere violenti. Solo l’amore è più forte della morte rendendo l’uomo in comunione con Dio che è abisso d’amore: è la strada che conduce alla futura pienezza e rende il presente più umano.

La resurrezione di Gesù Cristo l’ha confermato: Dio non lascia cadere nel nulla ciò che si è operato per il bene dell’uomo cioè di ogni suo figlio, ma lo fa fiorire nella vita eterna.

Quindi la vera vita (l’autentica umanità) non sta nel salvare se stessi ad ogni costo, ma nel vivere la propria esistenza come servizio agli altri: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,16). E questa strada è percorribile da tutti e in ogni situazione, dato che nell’uomo non c’è soltanto il lato oscuro appena ricordato, ma vi è pure la luce e la forza di amore che il martire per eccellenza, Gesù Cristo, offre a tutti perché possano collaborare con lui a trasformare questo mondo in convivenza vera, piccolo segno di quella che il Padre ci offrirà per l’eternità: «...ho scelto voi... perché portiate frutto e il vostro frutto rimanga»(Gv 15,16).

Questo volto luminoso dell’umanità, brillato con intensità particolare nel martirio di S. Alessandro, è riapparso, con modalità e in situazioni diverse, in tantissime persone nella nostra storia. La maggior parte di esse è sepolta nell’oblio, però il seme da esse gettato nel nostro cammino ha contribuito a far crescere l’umanità autentica nella nostra società. Persone che hanno vissuto la loro esistenza a servizio gratuito degli altri: della famiglia, della società, delle molteplici povertà. Come Gesù Cristo sulla Croce non hanno ascoltato il provocante invito «Salva te stesso!», ma nei gesti quotidiani e nelle scelte straordinarie si sono lasciati guidare dai bisogni dell’altro, di ogni altro, vicino o lontano che fosse. Non preoccupandosi di salvare la propria vita, sono nella salvezza eterna e hanno salvato la nostra umanità.

Dicendo grazie a S. Alessandro vogliamo oggi esprimere la nostra riconoscenza pure a loro perché, anche nei momenti più disumani, sono stati il rifugio della vera umanità, quella pensata da Dio Padre, realizzata in modo perfetto da Gesù Cristo e che risponde alle attese più sincere e profonde dell’uomo. È l’umanità che riconosce ad ogni altro la medesima dignità, anzi si sente responsabile della difesa e della promozione di tale dignità in ogni persona. Perciò accoglie, ascolta, dialoga, sente come propri i problemi di tutti, partecipa pazientemente e attivamente alla ricerca comune, non con la preoccupazione di difendere gli interessi personali o di parte, ma unicamente guidata dal desiderio di rendere la società più abitabile per tutti, specialmente per i più deboli. E non cede alla tentazione di aggiungere violenza a violenza, prepotenza a prepotenza, perché sa che il volto oscuro dell’umanità si può superare soltanto con un cuore pieno di compassione, cioè un cuore che sa sentire e vivere come propri i mali altrui. Una compassione che per il credente è condivisione della compassione di Gesù: «Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore» (Mt 9,36). Un cuore capace di stare nella storia attuale con amore gratuito e universale, capace di scorgere non solo le povertà ma i volti concreti dei poveri, dei sofferenti, di chi vive in solitudine; in grado di avvertire anche le più deboli invocazioni di aiuto. E con tenacia e paziente intelligenza cerca, insieme agli altri, le soluzioni possibili e di comunicare ai cuori feriti la fiducia e la speranza in una convivenza realmente più fraterna. Sa che la stanchezza e sfinitezza della folla non dipende soltanto dalla mancanza di cose ma pure dall’assenza di questa speranza e di questa fiducia. E riportandosi continuamente alla compassione di Gesù Cristo rimane in questa testimonianza nonostante le difficoltà, l’indifferenza e l’impressione che la storia umana non cambi rotta. È la stessa impressione che avevano coloro che hanno assistito alla morte di Cristo in Croce e al martirio di S. Alessandro e degli altri martiri. Però, come è già stato detto, è lì che si è rivelata e salvata la luce che indica la strada della vera umanizzazione della società.

Il ricordo grato di questi servitori di Dio e dell’uomo, deve accrescere la consapevolezza della preziosa eredità posta nelle nostre mani; una eredità da tradurre in ogni settore della vita odierna per dare il nostro contributo al progredire del volto luminoso dell’umanità.

Ricordando anzitutto che il maggior pericolo odierno, anche per noi credenti, è la dimenticanza della speranza del futuro eterno che ha guidato la vita, la scelta e il martirio cruento o incruento di queste persone. Il documento «Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia» dice: «Non è facile, oggi, la speranza. Non ci aiuta il suo progressivo ridimensionamento; è offuscato se non addirittura scomparso nella nostra cultura l’orizzonte escatologico, l’idea che la storia abbia una direzione, che sia incamminata verso una pienezza che va al di là di essa. Tale eclissi si manifesta a volte negli stessi ambienti ecclesiali, se è vero che a fatica si trovano le parole per parlare delle realtà ultime e della vita eterna».

Per rivivere nell’oggi l’eredità di S. Alessandro occorre perciò rinnovare in noi la speranza nel futuro presso Dio, speranza che l’ha sostenuto nel vivere secondo il Vangelo le vicende quotidiane e la morte. Impegnandoci a vivere questa speranza come il filo conduttore che orienta nelle complesse e sempre nuove decisioni della vita e dona forza di rimanere in attesa della luce anche quando sembrano trionfare le tenebre. Questo ci permetterà di superare alcuni atteggiamenti «disumani» sempre più presenti anche nella nostra società bergamasca.

Il primo è l’incapacità a vedere la luce pasquale presente in molte persone: si vede soltanto il lato oscuro dell’umanità; si è pessimisti, si diffonde pessimismo e si aumenta ulteriormente la pesantezza del cammino personale comunitario.

Vi è poi l’atteggiamento di chi guarda le vicende della società, vicina o lontana, con lo sguardo e il cuore dello spettatore curioso ma sostanzialmente indifferente: quelle vicende non lo riguardano. Invece tutto ciò che tocca un uomo ci deve coinvolgere perché riguarda la comune umanità. In un mondo sempre più globalizzato siamo obbligati, lo vogliamo o no, a misurarci con l’altro, a sentirci reciprocamente responsabili. Non è possibile isolarsi dall’altro, evitando di confrontarsi con la sua storia che è pure espressione sconosciuta, e per questo più preziosa, della ricchezza umana. Il credente in Gesù Cristo sa di essere chiamato da Dio a collaborare per l’edificazione di un mondo abitabile da tutti: un mondo nel quale tutti possono vivere responsabilmente i diritti e i doveri fondamentali.

Questo vuol dire rimanere nel suo amore. Occorre superare la tentazione, pure molto diffusa tra noi, di chi si sente soddisfatto (si sente buon cristiano e corretto cittadino) perché lavora molto, e non lascia mancare nulla alla famiglia. Alla crescita della vita civile, al bene comune, ai diritti dei più deboli e dei più emarginati, chi ci pensa?

La libertà e l’uguaglianza non possono realizzarsi nel mondo odierno se non sono sostenute dalla fraternità, cioè dal vivere con responsabilità e solidarietà la relazione che ci lega agli altri, vicini o lontani che siano.

Vi è poi l’atteggiamento di coloro che di fronte alle povertà della società si sentono personalmente tranquilli quando ne hanno individuato la causa negli altri e, perciò, attendono la conversione degli altri. Si limitano a criticare senza mai coinvolgersi personalmente.

Per esempio, capita questo nel campo dell’educazione delle nuove generazioni: la colpa è della famiglia, della scuola, della televisione, degli oratori, della politica, dei responsabili dell’ordine pubblico. E nessuno che dica: è anche colpa mia! Perché anch’io con il mio stile di vita non offro alle nuove generazioni l’autentica speranza e dei motivi validi per impegnare l’esistenza. Perché, anche quando m’impegno, non favorisco la collaborazione di tutti, collaborazione indispensabile in questo delicato settore da guardare con più attenzione, con meno paura, con maggior speranza, e soprattutto con la disponibilità a collaborare con tutti. Ci deve stare a cuore il bene delle nuove generazioni e non la riuscita dei nostri progetti, il successo del nostro nome, o della nostra parte politica o dei nostri movimenti o associazioni. Già questo sarebbe molto educativo. Mostreremmo, infatti, che ciò che ci guida non è la domanda solita: «che cosa ci guadagno» ma il servizio gratuito alle nuove generazioni, cioè il valore sul quale vale la pena investire la nostra esistenza come ha fatto S. Alessandro e chi lo ha imitato.

Faremmo loro capire che il lato luminoso dell’umanità dipende da ognuno di noi, e a ciascun credente è affidato il compito di mostrare il vangelo della speranza ad ogni persona; mostrarlo con la vita prima di annunciarlo con le parole. Capirebbero così che la bellezza e la preziosità della vita che si apre davanti a loro sta nell’apertura gratuita ad ogni altro e non nella concezione sempre più competitiva della vita sociale.

Capirebbero che vale veramente la pena investire il loro entusiasmo e la loro passione perché questo senso della gratuità cresca in ogni relazione; che non c’è amore senza gratuità, che non c’è uomo senza gratuità. Non c’è futuro senza la gratuità. Soprattutto la Chiesa deve essere una comunità che pone al centro della propria vita la gratuità: nella liturgia celebra l’amore gratuito di Dio e lo vive offrendosi gratuitamente a tutti, anche a chi non lo considera o lo rifiuta; disposto ad offrire disinteressatamente anche la vita come è avvenuto e continuamente si ripete nei martiri. Solo così rivela il vero volto di Dio e dell’uomo, sostiene la speranza in un futuro più umano, e anche nei periodi del trionfo della disumanizzazione diviene, nonostante i propri limiti, il rifugio e la difesa dell’umanità luminosamente brillata sul Calvario e nei martiri.

S. Alessandro aiuti la nostra Chiesa a progredire sempre più nella testimonianza della gratuità e della speranza fondata sull’amore gratuito del Signore.

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