«Volevo fare la diplomatica
Ora sono ai vertici del Louvre»

Di una cosa era certa, quando faceva il liceo classico, in Città Alta: non avrebbe mai fatto il medico. Claudia Ferrazzi, figlia di Paolo, il cardiochirurgo che con Lucio Parenzan ha effettuato il primo trapianto di cuore ai Riuniti, non l'ha poi fatto davvero, il medico.

Di una cosa era certa, quando faceva il liceo classico, il Sarpi, in Città Alta: non avrebbe mai fatto il medico. «Ah no, medicina era esclusa da subito: bastava mio padre, con quell'esperienza. E poi, bisogna diversificarsi, no?» Claudia Ferrazzi, figlia di Paolo, il cardiochirurgo che con Lucio Parenzan ha effettuato il primo trapianto di cuore agli Ospedali Riuniti di Bergamo, non l'ha poi fatto davvero, il medico. E oggi, a 34 anni, è il numero tre del museo Louvre a Parigi: administrateur général adjoint, amministratore generale aggiunto, e lavora fianco a fianco del président-directeur Henri Loyrette, e dell'administrateur général Hervé Barbaret.

Dal suo ufficio al Louvre risponde quasi divertita, Claudia Ferrazzi, all'idea di un'intervista: «Al liceo sapevo già che non avrei voluto fare il medico come mio padre, ma da lui credo proprio di aver preso una peculiarità: voler lavorare nel servizio pubblico. Io la sento quasi come una vocazione, lui come una missione».

Dopo gli studi classici, l'università allo Iulm a Milano, relazioni pubbliche: «Mi ero decisa a intraprendere la carriera diplomatica: mi sono informata, dovevo iscrivermi alla Scuola superiore della pubblica amministrazione ma, a 22 anni, sapere che per diventare poi funzionario avrei dovuto aspettare molto, moltissimo tempo, mi ha scoraggiato. Sono partita, ho varcato le frontiere: prima un master in politica europea a Bruxelles, poi l'Ena, l'École nationale d'administration». L'École nazionale ha sede a Strasburgo (dal 2005 si è trasferita definitivamente da Parigi) ed è responsabile per la formazione dell'alta funzione pubblica francese: l'obiettivo dell'Ena è di fornire ai futuri alti funzionari una formazione interdisciplinare; il ciclo di formazione dura complessivamente ventiquattro mesi (dodici mesi di studio e dodici mesi di tirocinio), effettuati in prefetture, rappresentanze diplomatiche ed imprese; gli allievi della scuola sono selezionati attraverso un concorso particolarmente rigoroso: ogni anno, su tremila candidati solamente ottanta sono effettivamente ammessi.

«Io però prima del passaggio al pubblico ho fatto l'ingresso nel privato: al Boston Consulting Group (Bgc è una multinazionale di consulenza di management e uno dei leader mondiali nella consulenza strategica di business ndr) continua Claudia Ferrazzi – . È un po' come se il mio destino si fosse incastrato con quello delle norme sulla pubblica amministrazione francese: prima del 2004, infatti, non era concesso a un non francese accedere ad alte cariche della pubblica amministrazione. Poi, dal Boston Consulting Group sono migrata per 5 anni al ministero delle Finanze e poi al Louvre, da otto mesi».

E la cittadinanza francese, ora ce l'ha? «Ho iniziato le pratiche, ma mi piace conservare la mia italianità, la mia cittadinanza, il mio Dna italiano: anche per le mie figlie, Diane che ha 3 anni e Daphné appena uno, mi sono affrettata a far riconoscere la cittadinanza italiana. Certo per loro sarà diverso, mio marito Fabrice è francese (Fabrice Bakhouche, è directeur général adjoint dall'agenzia France Press ndr): loro hanno già due patrie». E com'è, da italiana, essere il numero tre del Louvre? «Un'esperienza esaltante. Si sappia: il patrimonio e la cultura artistica italiana sono assolutamente riconosciuti, all'estero. Il problema è dover fare i conti con quella specificità italiana di moltiplicare sempre ruoli e attori nelle istituzioni, non si sa mai a chi rivolgersi, chi ha le responsabilità e per cosa: di recente, come Louvre, abbiamo rinunciato a partecipare a un evento perché per 4 volte ci avevano rinviato o spostato la data dell'inaugurazione, per impegni di tizio o di caio. Sono situazioni difficili da spiegare qui, io stessa non le comprendo. Sono i bizantinismi burocratici a penalizzare l'Italia. Un peccato, perché le nostre capacità, al contrario, hanno ottimo mercato: basti pensare che per la sezione delle Arti islamiche che al Louvre verrà inaugurata a metà 2012 stanno lavorando il grande architetto Mario Bellini e il laboratorio di museotecnica Goppion. E il 2013 sarà dedicato, come evento al Louvre, a Michelangelo Pistoletto».

Il lavoro al Louvre, la famiglia a Parigi, in Italia torna ogni tanto? «Tutte le volte che posso, Bergamo è la mia casa, il luogo dove sono nata. E poi non potrei stare lontana a lungo dal mio amato teatro Donizetti e dalle passeggiate verso San Vigilio. E oltretutto c'è un magnifico volo low cost che mi ci porta comodamente. Ci torno volentieri, ma non perché a Parigi non stia bene: è un posto magnifico per vivere, lavorare, approfondire le proprie conoscenze». Quindi resterà all'estero, a lavorare. «Nient'affatto, anzi: proprio con il bagaglio che ho acquisito all'estero, potrei tornare a lavorare in Italia. Perché no, non escludo di poter fare un'esperienza nella pubblica amministrazione a casa mia, in Italia: in un museo, o anche nel gabinetto di un ministero».

Non è un cervello in fuga, insomma: «Ho solo provato a realizzare le mie aspirazioni altrove, perché nel mio Paese le tappe sarebbero state senza dubbio più rallentate. Ma non escludo di poter mettere al servizio dell'Italia quanto ho appreso fuori. Anche se da 10 anni vivo ormai all'estero, l'Italia è presente nella mia vita ogni giorno: leggo sempre i giornali italiani».
A proposito di Italia, lei è d'accordo con quanto di recente esponenti del nostro governo hanno dichiarato sui giovani: che vogliono un posto di lavoro vicino a mamma e papà, che chi non è laureato a 28 anni è uno sfigato? Claudia ride di gusto e parla d'un fiato, l'accento indefinibile, con la erre francese e un misto di veneziano (dal papà) e romano (dalla mamma Franca): «Dico che è essenziale arrivare veloci alla laurea, e che non bisogna fermarsi al primo pezzo di carta: è solo un primo passo. Ma non credo di essere un caso eccezionale: semplicemente ho scelto di saltare il fosso, di non farmi bastare le prospettive che potevo avere qui e sono partita. Piuttosto penso che l'attuale classe dirigente italiana dovrebbe rendersi conto che la mia generazione, e quella successiva alla mia, si trovano a dover fare i conti con un mondo dove i ruoli apicali sono coperti da anziani, dove le famiglie d'origine sono in crisi di valori, dove la burocrazia frena le aspirazioni. Il consiglio che mi sento di dare ai giovani è quello di non limitare i propri orizzonti, di allargare le proprie prospettive di realizzazione, anche guardando all'estero. Ma non sono una rarità, io che l'ho fatto, anche al Louvre sono circondata da italiani: il responsabile del sistema di biglietterie è italiano, è italiana la responsabile della programmazione di storia dell'arte all'auditorium del museo, è italiana la responsabile della mediateca. Quindi, non sono così eccezionale, no?».

Carmen Tancredi

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