Cronaca / Hinterland
Martedì 29 Novembre 2011
Stroncata a 32 anni da un tumore
Marina non c'è più, ma si racconta
Nelle librerie il diario postumo di Marina Neri. Abitava a Gorle, è morta nel 2010 di tumore osseo, all'età di 32 anni. La scoperta a 22 anni, poi la laurea e le nozze. «La mia storia una tragedia? Io dico esperienza».
Marina era una risorsa interiore di pura energia. Voleva vivere», dice Manlio Neri, il padre della giovane bergamasca autrice dell'intenso diario «Un punto nero nell'immenso azzurro del mare» (Ur Editore), appena uscito nelle librerie. Il libro, che si inserisce nel genere di medicina narrativa raccontata direttamente dai pazienti, racconta la feroce malattia che ha colpito Marina Neri, una forma molto rara di tumore osseo, condrosarcoma a cellule chiare.
Nata ad Alzano Lombardo il 9 settembre 1977, la giovane non ce l'ha fatta: è mancata il 1° aprile del 2010, a 32 anni, dopo terribili sofferenze. Ma ha vissuto il suo calvario con grande dignità. E nei momenti bui non ha mai perso l'ironia, che traspare in queste pagine, scritte tra l'altro molto bene, e che si leggono tutte d'un fiato. Il suo battagliare contro malattia, le cure, una lunga serie di operazioni, nei centri in Italia e all'estero, da Parigi a New York.
«Marina adorava Bergamo; si sentiva bergamasca», ha ricordato papà Manlio durante la presentazione del volume a Milano. Il signor Neri è un biologo nativo di Bergamo, e a Milano è titolare di una casa editrice medico-scientifica. «Quando Marina aveva sette mesi siamo andati a vivere a Verona, ma quando aveva otto anni siamo tornati a Bergamo e abbiamo vissuto a Gorle». Dove ancora vive mamma Giulia.
«Volevo essere perfetta» Quando Marina ha 13 anni, i genitori si separano. Marina sta con mamma a Gorle, frequenta le medie dalle Orsoline di Gandino in città, in via Masone, poi il liceo linguistico Falcone.
«Fin da quando ero piccola volevo essere bella, perfetta – scrive Marina nel diario –. Quando vedevo donne eleganti camminare sognavo che sarei diventata proprio come loro. Sognavo che avrei indossato tacchi alti e vestiti aderenti, che avrei lavorato nel marketing e pertanto avrei organizzato riunioni importanti, in posti meravigliosi, circondata da persone interessanti. Invece la mia vita non è andata esattamente così».
Ma Marina ha femminilità da vendere: è curatissima anche nei giorni più devastanti. L'infausta diagnosi a 22 anni. Marina frequenta lo Iulm di Milano quando le viene diagnosticato il terribile male. Ma continua a studiare sodo. Riesce a laurearsi, in Relazioni pubbliche, poi anche a lavorare, facendo traduzioni e organizzando congressi.
Condanna, esperienza «Can-cro: due sillabe, una vita in frantumi – scrive –. Forse un monito più che una condanna, forse una lezione di vita. Dura da accettare, ma forse chissà, indispensabile per iniziare a cambiare. Chi conosce la mia storia la definisce una tragedia, una disgrazia. Io semplicemente dico che è esperienza».
Il coraggio di Marina. Il libro emoziona e arricchisce. «Un libro che andrebbe letto a scuola per alimentare il senso civico dei ragazzi» dichiara Maria Giulia Marini della Fondazione Istud. Ma questa forza Marina la attinge dai suoi cari. Dall'amore che le dà la sua famiglia, molto presente. Manlio si è risposato con l'inglese Susan, che diventa parte della sfera affettiva di Marina. «Papà è un grande uomo con un grande cuore», scrive. E mamma Giulia, nativa di Nembro, alla quale di Marina manca «tutto, la sua grazia, la sua dolcezza, e il suo incredibile altruismo», mamma Giulia «è un prolungamento dell'anima oltre che del corpo di Marina», sottolinea Chiara Micheletti, la psicologa che ha alleviato il dolore della giovane.
«Il nostro rapporto è stato profondo. Lei era speciale, dotata di una sensibilità spiccatissima. Era intelligente, bella e vitale. E il suo mondo era così ricco di relazioni» ricorda la psicoterapeuta che firma la postfazione. Nei dieci anni di malattia è importante anche l'amore di Heider, il giovane ingegnere tedesco che nel frattempo lei sposa. Per un periodo vivranno in Germania. Il diario si ferma ai primi tre anni di malattia. Papà Manlio integra il diario: lei a un certo punto non ha potuto più scrivere: «Ci ho pensato non poco prima di decidere: è stato un percorso doloroso, ma necessario».
Mariella Radaelli
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