Per quattro mesi coi ribelli libici
Parla il fotografo bergamasco

«In Libia ho sentito di essere utile anch'io come operatore della comunicazione. Sono stato tra i ribelli libici per quattro mesi e tutti dimostravano riconoscenza per i giornalisti». A parlare è Giovanni Diffidenti, fotografo free-lance di Verdello, che fino a due settimane fa era in Libia.

«In Libia ho sentito di essere utile anch'io come operatore della comunicazione. Sono stato tra i ribelli libici per quattro mesi e tutti dimostravano riconoscenza per i giornalisti, i fotografi e gli operatori dei media, perché così la loro rivolta arrivava anche in Occidente».

A parlare è Giovanni Diffidenti, fotografo free-lance di Verdello, che fino a due settimane fa era in Libia a fotografare la caduta del regime di Mu'ammar Gheddafi.

Oggi è a casa, ma è riuscito a sentire qualcuno in Libia?
«Sì, mi ha contattato in Skype il mio traduttore: mi ha detto di essere felicissimo e che a Misurata la gente stava festeggiando».

In Libia si è combattuta una guerra civile. Ha trovato un paese diviso?
«Non so dirglielo perché non ho mai avuto modo di avere un rapporto con i militari o le persone pro-Gheddafi. Quello che ho visto è una popolazione che ha voglia di cambiare, persone molto accoglienti che condividevano gioie e sofferenze della guerra».

Ci faccia qualche esempio.
«Sono entrato in Libia via terra passando dall'Egitto. Lì ho incontrato un uomo d'affari libico che si è offerto di accompagnarmi gratuitamente a Bengasi. Poi in questa città, molto aperta mentalmente, ma un po' sporca e trascurata, ho raccolto una testimonianza molto esplicativa: un uomo mi ha detto che, quando era sotto il regime buttava l'immondizia per strada o dall'auto, ma con l'avvento del nuovo governo e la cacciata di Gheddafi non l'avrebbe più fatto. Perché? Prima non lo considerava il suo paese, dopo ha cominciato ad apprezzarlo e rispettarlo».

Anche se non ha conosciuto dei militari di Gheddafi è stato nelle zone che erano più fedeli al regime. Com'è andata?
«A Tawergha ho visto molti morti: 9 su 10 delle truppe di Gheddafi erano dell'Africa sub-sahariana, ma non so se fossero mercenari. Io non ne ho mai incontrato uno. Poi sono stato in una scuola che era stata adibita a prigione. In ogni aula c'erano 30-40 prigionieri e mi è sembrato di capire che non tutti fossero lì perché fedeli a Gheddafi, ma magari per altre situazioni. A Bani Walid, una delle zone pro-Gheddafi, sono stato allontanato da alcuni uomini, ma senza dichiarare chiaramente chi fossero».

Leggi di più su L'Eco in edicola venerdì 21 ottobre

© RIPRODUZIONE RISERVATA