Cronaca
Mercoledì 13 Luglio 2011
È in stato vegetativo, licenziata
Lettera impugnata. Cgil: inumano
Licenziata mentre è in stato vegetativo perché, secondo l'azienda, «la discontinuità della sua prestazione lavorativa crea evidenti intralci all'attività produttiva». È successo a una madre di quattro figli, colpita da aneurisma cerebrale nel gennaio 2010.
Licenziata mentre è in stato vegetativo perché, secondo l'azienda, «la discontinuità della sua prestazione lavorativa crea evidenti intralci all'attività produttiva». La lettera di «recesso dal rapporto di lavoro per superamento del periodo di comporto» è stata indirizzata a una lavoratrice ricoverata nella struttura sanitaria Don Orione di Bergamo e residente nella provincia orobica, in stato vegetativo a causa dell'aneurisma cerebrale che l'ha colpita nel gennaio del 2010. Il 31 maggio dello stesso anno la signora (non indichiamo il nome per proteggerne la privacy) era riuscita, nonostante le difficili condizioni, a dare alla luce una bambina: l'ultima dei suoi 4 figli.
La Filctem Cgil e l'Ufficio vertenze della Cgil, che hanno sollevato il problema insieme al marito, hanno impugnato il provvedimento dopo che il 4 giugno 2011 la Nuova Termostampi di Lallio (ditta che si occupa di stampi e stampaggio di articoli tecnici), per la quale la signora ha lavorato 16 anni, le ha comunicato il licenziamento e con ciò la cessazione del rapporto di lavoro: «Con la presente dobbiamo rilevare che Lei ha effettuato le assenze per malattia di seguito riportate, dal 01.06.2010 al 03.06.2011. Avendo effettuato n. 368 gg di malattia nell'arco del periodo 01.06.2010 al 03.06.2011, Lei ha superato il periodo di conservazione del posto di lavoro previsto dall'art. 39, comma 7, Parte 2^ del vigente C.C.N.L (e pari a 365 giorni)».
Ma è la seconda parte della lettera indirizzata alla donna che ha maggiormente urtato i familiari che l'hanno aperta e letta per lei: «Comunque - prosegue il documento - la discontinuità della sua prestazione lavorativa crea evidenti intralci all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al suo regolare funzionamento, incide in modo sensibile sull'equilibrio dei rispettivi obblighi contrattuali. Per tutti i motivi sopra esposti, Le notifichiamo pertanto la risoluzione del rapporto di lavoro tra noi in corso a far data dalla presente. Le Sue spettanze di fine rapporto, comprensive dell'indennità sostitutiva del preavviso, Le saranno liquidate, come di consueto, direttamente sul Suo conto corrente entro l'11 luglio 2011».
La lettera di licenziamento è successiva alla richiesta, formalizzata dal marito nell'interesse della signora, di godimento delle ferie e dei permessi maturati prima dello scadere del periodo di comporto di malattia. «Mi sembra scandaloso che un'azienda neghi la fruizione delle ferie utilizzando la motivazione delle esigenze produttive - commenta il marito, C. M. - ed ancor più ci ha turbato la parola intralcio»: infatti la signora è assente da molto tempo (ciò a conferma della gravità del suo stato) per cui nessun intralcio può essere occorso alla produzione, che certamente non ha potuto essere organizzata pensando ad un rientro nel breve periodo della lavoratrice. E comunque le ferie sono un diritto ed il valore di un posto di lavoro è sin troppo evidente.
Ma, prosegue il marito «siamo rimasti molto, molto sorpresi da alcuni articoli pubblicati dalla stampa locale, e di uno particolare, dal titolo "Termostampi, vige l'etica del lavoro'". Un'etica che con noi non è stata utilizzata. Chiedo rispetto per i diritti di mia moglie. Chiedo che se ne ha - come credo - diritto venga riassunta: nulla di più».
Sul caso interviene anche il segretario provinciale della Filctem CGIL di Bergamo, Fulvio Bolis: «Stante il contesto, voglio fare una considerazione più sul versante umano che su quello sindacale/legale, che seguirà comunque il suo iter: mi è capitato nel passato di dover affrontare situazioni analoghe, lavoratori affetti da gravi malattie in procinto di superare il periodo di comporto per la conservazione del posto di lavoro».
«In quasi tutti i casi, anche grazie alla sostanziale assenza di costi per il datore di lavoro, le aziende non hanno provveduto al licenziamento ma, al contrario, hanno mantenuto in essere il rapporto di lavoro. Mi pare di poter dire che l'azienda in questione abbia quanto meno sottovalutato la condizione difficilissima di una propria collaboratrice. Di attenzione al fattore umano qui proprio non si vede traccia».
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