«Assegni smarriti», cresce il fenomeno
Sempre più denunce per calunnia

È un fenomeno sempre più diffuso, una pratica a cui si ricorre spesso a cuor leggero, ma che rischia di portare a una condanna fino a sei anni di carcere. È la denuncia di smarrimento degli assegni che si sono precedentemente emessi.

È un fenomeno sempre più diffuso, una pratica a cui si ricorre spesso a cuor leggero, ma che rischia di portare a una condanna fino a sei anni di carcere. È la denuncia di smarrimento degli assegni che si sono precedentemente emessi. Una pratica adottata per bloccare l'incasso del titolo di credito, ma che innesca un meccanismo giudiziario che il più delle volte si trasforma in un boomerang. Di solito va che la persona che firma l'assegno, a volte post-datato (non è più reato), non avendo una sufficiente copertura sul conto corrente, si rivolge ai carabinieri per denunciarne lo smarrimento.
«In questo modo - spiega un giudice del tribunale di Bergamo - si pensa di avere la coscienza a posto, perché si parla di smarrimento e non di furto. Si crede, insomma, che così facendo non si incolpi il beneficiario del titolo di credito. Ma non è così».

Perché chi presenta l'assegno all'incasso, oltre a sentirsi dire dalla banca che non può ricevere nulla perché risulta smarrito, incappa spesso in una denuncia per ricettazione. Perché vuol dire che il titolo di credito, se non è stato rubato, è quantomeno di dubbia provenienza: si ipotizza che qualcuno l'abbia trovato o ne sia venuto in possesso tramite terzi e abbia alla fine deciso di incassarlo pur non avendone diritto. Questo è il formale ragionamento che si nasconde dietro il meccanismo della denuncia. Salvo poi appurare (di solito in poco tempo, gli inquirenti hanno ormai l'occhio allenato) che chi passa all'incasso ne ha davvero i titoli e che l'escamotage truffaldino era un'idea di chi voleva passare per vittima.

Per saperne di più leggi L'Eco di Bergamo dell'8 aprile

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