Stezzano: «Io, risvegliato
con il segno della croce»

Tornare alla vita con il segno della croce. Succede la notte di Natale del 2000: come ogni sera Massimiliano Tresoldi viene messo a letto dalla mamma Lucrezia. La mamma gli prende le mani e gli fa fare il segno della croce prima di pregare con lui.

Tornare alla vita con il segno della croce. Succede la notte di Natale del 2000: come ogni sera Massimiliano Tresoldi viene messo a letto dalla mamma Lucrezia. Come ogni sera, da dieci lunghi anni, da quando un incidente ha ridotto Massimiliano allo stato vegetativo, la mamma gli prende le mani e gli fa fare il segno della croce prima di pregare con lui.

Ma quella sera la leonessa – come chiamano tutti mamma Lucrezia, instancabile lottatrice – è esausta: tanti anni passati a combattere, litigare con i medici, lavorare sodo per suo figlio che però non dà segnali concreti di un ritorno alla vita. Troppo stanca per dire una preghiera, Lucrezia Tresoldi sbotta: «Questa sera ti arrangi e te lo fai da solo, il segno della croce, che io non ce la faccio più». E Massimiliano solleva il braccio e sotto gli occhi increduli della madre compie da solo quel gesto che lei gli faceva fare ogni sera. «Ero paralizzata, non riuscivo a parlare – racconta Lucrezia Tresoldi dal palco del cinema Eden di Stezzano –. Dopo quel gesto, mi ha stretta forte come per dire "adesso ci sono io". E lui c'era davvero».

Lo schianto a 19 anni
Questa storia inizia vent'anni fa, nell'agosto 1991, quando, a diciannove anni, Massimiliano parte in auto da Carugate, dove abita, per una vacanza con gli amici. Ma la vacanza si conclude tragicamente: Massimiliano resta coinvolto in un incidente e finisce in coma, tra la vita e la morte. «I medici hanno detto a me e mio marito di guardare fuori dalla finestra, verso il parco. C'era il tronco di un albero spezzato e, secondo i dottori, quello sarebbe stato per sempre nostro figlio, un tronco morto».

La famiglia però non si arrende e dopo otto mesi di ospedale porta il figlio a casa per iniziare a curarlo tra le mura domestiche. «Fin dal primo giorno ho trattato mio figlio come una persona normale e non come un malato: in camera sua si parlava, rideva, scherzava e si organizzavano feste», dice Lucrezia. Delle feste e delle risate Massimiliano ha ancora oggi un ricordo, anche se per quasi un decennio sembrava non sentire ciò che gli accadeva attorno. «Ogni tanto muoveva un mignolo – continua la madre – ma niente di più. Noi però non abbiamo mai smesso di lottare, nonostante la diagnosi dicesse che il suo cervello era troppo danneggiato per riprendersi».

Un risveglio «inspiegabile»
A distanza di 7 anni dall'incidente, quando ormai anche le possibilità più remote di una ripresa si erano affievolite, il ragazzo sorride. Non si tratta di uno spasmo nervoso né di un'illusione dei genitori, come sostengono i medici, ma di un sorriso vero. I dottori invitano alla calma, a non credere ai miracoli. D'altra parte, la risonanza magnetica è sempre uguale, le lesioni sono sempre le stesse.

Poi però, in quella notte di Natale di dieci anni fa, succede l'impensabile: l'amore della famiglia, unito a impegno, costanza e fatica lo rimette al mondo per la seconda volta. Oggi Massimiliano è sveglio e vivo. Dal palco di Stezzano, sulla sua sedia a rotelle vicino a papà Ernesto e mamma Lucrezia, saluta il pubblico alzando il pollice verso l'alto per far capire che va tutto bene. Nessun medico finora è stato in grado di spiegare questo risveglio: le risonanze mostrano che il cervello di Massimiliano oggi è perfettamente identico a vent'anni fa, quando era in uno stato vegetativo decretato irreversibile. I medici che l'hanno assistito dopo l'incidente, alla notizia del risveglio, sono andati a casa Tresoldi a verificare di persona: non credevano ai loro occhi.

«Ha respirato l'aria dell'amore»
«Abbiamo voluto salvare questa vita facendogli respirare l'aria dell'amore, imboccandolo per ore cucchiaino dopo cucchiaino per fargli imparare tutto daccapo – continua Lucrezia –. E da quando si è svegliato è iniziata un'altra dura lotta per avere gli strumenti e gli ausili necessari, i litigi per le sedute di fisioterapia. In questo siamo abbandonati». Battaglie che hanno anche dato ai Tresoldi grandi soddisfazioni: ora Massimiliano cammina con un apposito apparecchio, disegna, esce con gli amici e mangia, soprattutto la pasta al forno, la sua passione.

Ha un sogno: tornare a giocare a calcio con i suoi amici, che non l'hanno mai lasciato solo. E alla fine della serata si legge una lettera scritta da Massimiliano: «Mi piacerebbe che i dottori ci aiutassero di più, perché noi vogliamo vivere».

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