Yara: un mese di difficili indagini
Presa in 11' mentre rincasava

È trascorso un mese dalla scomparsa di Yara. Trentun giorni di lavoro frenetico per gli inquirenti. L'indagine sul caso di Yara riserva molti interrogativi e qualche punto fermo. Le poche certezze vengono dall'incrocio di testimonianze e analisi dei tabulati telefonici.

È trascorso un mese dalla scomparsa di Yara. Trentun giorni di lavoro frenetico per gli inquirenti, con la pressione dei media che non accenna ad allentarsi. Ricerche a tappeto, analisi di tabulati telefonici, simulazioni e prove tecniche sul segnale dei cellulari, intercettazioni, interrogatori, studi criminologici, finora non sono bastati per scoprire la verità.

L'indagine sul caso di Yara riserva molti interrogativi e qualche punto fermo. Le poche certezze vengono dall'incrocio di testimonianze e analisi dei tabulati telefonici: Yara ha lasciato la palestra dopo le 18,44 e il suo telefonino si è spento alle 18,55: la chiave del giallo è in quei soli 11 minuti e nei 700 metri che la separavano da casa. Vengono compiuti studi tecnici che portano gli inquirenti a concludere: il telefonino di Yara non si è mai allontanato dal tragitto palestra-casa.

Fra le carte degli inquirenti ci sono poi i verbali dei testimoni. Ci sono in primis le controverse deposizioni di Enrico Tironi, il diciannovenne vicino di casa di Yara che, due giorni dopo la scomparsa, ha raccontato davanti alle telecamere delle tv di averla vista quel venerdì sera in via Rampinelli, mentre rideva in compagnia di due uomini adulti, vicino a un'auto rossa, forse una vecchia Citroën ammaccata, con le quattro frecce accese.

«Non abbiamo solo una pista, ne abbiamo molte», hanno ribadito gli inquirenti. Tante strade da percorrere. E qualche vicolo cieco: spesso, infatti, il lavoro degli inquirenti nell'una o nell'altra direzione non ha trovato elementi utili per poter proseguire. Il lavoro di chi cerca di venire a capo di questo rebus, purtroppo, sembra destinato a essere ancora lungo.

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