Cronaca / Hinterland
Lunedì 18 Gennaio 2010
Dario Bonacina: «Riservato
amava giocare a calcio»
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Sabato sera entrambi si erano raccomandati con Dario – «Derek», come si faceva chiamare dagli amici – prima che lui uscisse. «Ti raccomando, fai attenzione», gli aveva detto mamma Marinella. «Fai attenzione», aveva ribadito papà Giuseppe, prima di raggiungere la Tenaris Dalmine per il turno del sabato notte. Dario aveva sorriso a entrambi: timido con gli sconosciuti, con gli amici e i familiari più stretti si lasciava andare a gesti di affetto che ora i parenti conserveranno per sempre nel loro cuore.
Racconta una zia, mostrando al computer della cameretta di Dario una foto di gruppo con il diciannovenne e tutti i numerosi cugini al termine di una recente cena: «Era affettuosissimo, quando ci vedevamo non era avaro di baci e abbracci».
La sua grande passione era il calcio: «Purtroppo aveva avuto un problema al ginocchio – racconta la sorella Chiara – ed era stato costretto a stare fermo per un po'. Proprio lunedì (oggi, ndr) avrebbe avuto la visita di controllo, superata la quale avrebbe potuto riprendere a scendere in campo». «Per il resto era un ragazzo tranquillo – aggiunge una zia –, ogni tanto andava a ballare, anche se non era proprio una sua abitudine. Amava la vita, aveva voglia di crescere e divertirsi in modo sano».
Lui e Fabio Asperti erano grandi amici fin da quando erano bambini: ad accomunarli la passione per il calcio e il lavoro nella stessa ditta. «Andavano davvero d'accordo – prosegue la sorella –. Dario aveva lasciato gli studi dopo aver frequentato la prima superiore all'istituto tecnico Einaudi di Dalmine. Da quattro anni lavorava alla Legatoria bergamasca assieme a Fabio: un lavoro che gli piaceva. Un'altra sua grande passione era il calcio da spettatore: era un grande tifoso dell'Atalanta e, quando riusciva, non disdegnava di andare allo stadio a vedere la partita. Con chi non conosceva era riservato, mentre con i familiari e con gli amici era sempre molto aperto».
«Assieme agli amici si ritrovavano sempre al bar "Bulli & pupe", qui a Levate, e poi da lì partivano per altre destinazioni. Ultimamente era così contento perché avrebbe potuto riprendere a giocare a calcio...», conclude Chiara, quasi accarezzando con lo sguardo la foto del fratello sul monitor del computer della loro stanza.
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