Trevigliese nell'inferno di Haiti
«Pregate per questo Paese»
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Constatato che non c’erano danni rilevanti, siamo andati tutti a casa. Le strade pero si sono rivelate una trappola. Io e la seconda macchina con Jean Philippe e un collega haitiano siamo rimasti bloccati per ore. Alla fine abbiamo deciso di far ritorno all’ufficio. Ci siamo riforniti di acqua potabile e cose simili e ci siamo diretti verso la ex casa di Carlo Zorzi (ex rappresentate di AVSI in Haiti, prima di Fiammetta, e ora in Costa d’Avorio, ndr), unica meta raggiungibile. Qui però ci ha sorpresi la seconda scossa, al che abbiamo deciso di dormire fuori. Non potendo raggiungere casa mia, abbiamo chiesto ospitalità in una struttura dell’ambasciata brasiliana di Port au Prince.
Quando la situazione nelle strade si è un po’ normalizzata, verso le 10 di sera, ci siamo avventurati verso casa mia. Abbiamo praticamente attraversato la città. Il panorama è devastante. I più importanti edifici sono scomparsi. Danni ingenti si registrano ovunque. Solo da quello che abbiamo visto noi, i morti non possono che contarsi a migliaia. Interi edifici di diversi piani sono completamente rasi al suolo. Gravissimi danni ha subito un noto supermercato che a quell’ora non poteva essere che pieno di gente. E’ praticamente ridotto a niente.
Verso mezzanotte ho potuto ritrovare mio marito, al che abbiamo fatto un giro a casa di Jean Philippe, il francese che lavora con noi, che è gravemente danneggiata e chiaramente non più abitabile. Quindi per ora sta da me. La casa dove vivono i nostri Edoardo-Alberta non sembra apparentemente aver subito gravi danni. Il nostro ufficio principale della città è integro. Fortunatamente i nostri colleghi stanno bene. Attraversando la città abbiamo visto scene di devastazione terribili. Abbiamo notizia di almeno due colleghi che hanno trovato la casa rasa al suolo. D’altronde anche quella di fianco alla mia non esiste più. Per le strade vagano persone in preda a crisi di panico e di isteria, feriti in cerca di aiuto. Gli ospedali sono difficilmente raggiungibili, le strade della capitale impraticabili.
Il nostro viaggio verso casa è durato oltre 2 ore per fare meno di 10 chilometri. E per fortuna avevamo la jeep. Abbiamo cercato di portare aiuto come potevamo per trasportare i feriti, almeno i bambini non accompagnati, ma ci siamo presto resi conto di quanto poco servisse rispetto alla dimensione di questa tragedia. Si sentono dalle macerie le grida di aiuto di chi è rimasto sotto e i parenti impotenti si disperano. Mancano luci per illuminare la scena e continuare a scavare di notte. Non possiamo che attendere la mattina, ma anche questa notte è veramente nera per tutti noi. Il commissariato di Delmas 33, con annessa prigione e centro di detenzione di minori, un edificio di tre piani, non esiste più. Sul posto la Minustah ha montato luci a grande potenza per poter continuare l’opera di soccorso.
L’Hotel Montana, dove oggi ho pranzato è semidistrutto e conta 200 dispersi. Non ho più notizie della mia ospite di oggi.. Spero per lei. Tutti i mezzi della missione Onu sono mobilitati per portare aiuto, ma le Nazioni Unite stesse hanno subito gravi danni, con il loro quartier generale semi distrutto e diversi impiegati civili dati per dispersi. In tutta la città la gente resta in strada: chi non ha più una casa, ma anche chi teme nuove scosse. Della maggior parte dei colleghi haitiani non abbiamo notizie, come anche di moltissimi amici e colleghi.
Abbiamo incontrato in strada il capomissione di Action contre la faim. Ci ha raccontato che il loro edificio è interamente distrutto e che per ore hanno cercato i colleghi vittime del crollo. Un loro collega haitiano manca e all’appello. Lo stesso capo mmissione era leggermente ferito e cercava a piedi di raggiungere la propria abitazione e avere notizie della famiglia. Ciò che abbiamo visto col collega Jean Philippe nell’attraversare la città è spaventoso. Non so davvero da che parte potremo ricominciare, ma lo faremo. E’ terribile. Penso ai 4 bambini che abbiamo soccorso oggi pomeriggio, 4 fratellini che si sono trovati sotto una casa distrutta senza i genitori non ancora rientrati dal lavoro. Uno di loro aveva gravissime ferite alla testa e piangeva disperato. La sorellina piangeva chiedendo: “come fa la mamma a ritrovarci che la casa non c’è più?”. Pregate per questo paese sfortunatissimo. Ciao, Fiammetta».
Fiammetta Cappellini, 36 anni, vive da quattro anni ad Haiti, ha sposato un haitiano da cui ha avuto un figlio che compirà due anni a febbraio. La mattina di mercoledì 13 gennaio è riuscita a comunicare alla sua famiglia via email, rassicurando i genitori sulle loro condizioni. «Ci ha scritto che stanno tutti bene, anche se la situazione è drammatica - spiega la mamma Antonietta dalla sua casa di Treviglio - Siamo preoccupati, certo, ma sappiamo che Fiammetta difficilmente abbandonerà Haiti. E' molto legata a quel Paese e ormai la sua vita è là».
I genitori di Fiammetta, il papà Alvaro e la mamma Antonietta Cella, hanno cercato di chiamare la figlia al telefono ma tutte le comunicazioni ad Haiti sono interrotte. «Aspettiamo che ci faccia avere sue notizie via computer - continua la mamma - Non abbiamo ancora avuto contatti con la Farnesina, ma da quello che ho sentito in tv abbiamo più notizie noi di loro».
Ascolta l'intervista alla mamma di Fiammetta
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Il racconto della mamma di Fiammetta Cappellini
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