Cronaca / Bergamo Città
Lunedì 11 Gennaio 2010
Andreotti: una sentenza politica
Luigi Bitto spiega cosa accadde
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Nel suo intervento il magistrato spiega: «mentre era in corso il processo d’appello contro Andreotti ho avuto un colloquio a Palermo con un magistrato della Corte d’Appello, che mi accennò ad una forte preoccupazione dell’organo giudicante di non lasciare del tutto scoperta la Procura dopo che l’apparato probatorio era stato smentito dalle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, svoltasi durante il processo di primo grado».
La vicenda era legata alle «condizioni dell’ordine pubblico a Palermo, quando i magistrati inquirenti e le loro scorte saltavano in aria e illustri uomini politici venivano trovati stesi a terra da scariche di mitra».
Così, dice Luigi Bitto, «in una situazione del genere, i magistrati della Procura erano sottoposti ad una pressione eccezionale» e «l’accorgimento, al quale fecero ricorso per salvare capra e cavoli, fu di dividere la permanenza nel reato in due periodi: uno, successivo all’introduzione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, per il quale le accuse dei pentiti risultavano smentite, l’altro, più risalente nel tempo e perciò coperto dalla prescrizione, nel quale non si erano registrate smentite così clamorose».
«Sarebbe stato facile osservare - si legge su Affariitaliani.it - che le smentite successive valevano anche per il passato, tranne ipotizzare una conversione improvvisa, tipo quella dell’Innominato, assolutamente improbabile e comunque non provata, ma le soluzioni politiche dei processi, che sono sempre esistite nella storia, checché se ne dica, esercitano un notevole fascino. Sicché il marchingegno, del tutto estraneo al giudizio di primo grado, resse in Cassazione, che peraltro è la sede delle soluzioni politiche, essendo sua funzione adeguare l’interpretazione della norma giuridica alle nuove esigenze della società in rapida trasformazione».
Per tutti i dettagli si può approfondire la lettura su Affariitaliani.it
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