Non c’è nulla da fare: stanno riassemblando l’uomo, in laboratorio. Craig Venter nel Maryland ha sintetizzato il primo cromosoma artificiale, la prima vita «inventata»: rifà la natura in carne e ossa, per così dire. John Donoghue, direttore del Brain Science Program alla Brown University del Rhode Island, la rifà con l’ausilio di elettrodi, interfacce neurali, «cancelli cerebrali», ma il progetto in fondo è lo stesso. La vita si ammala, si guasta, si rompe. La Natura - come diceva Leopardi - è un programma che ha inscritto nel suo Ms-Dos l’istruzione di incepparsi prima o poi. L’uomo del XXI secolo ha deciso di mettere mano al proprio «sistema operativo»: intanto per chiudere una serie di bug , poi si vedrà.Ha detto Venter al Guardian : «Non stiamo creando la vita, stiamo creando nuove forme di vita tratte da altre che già esistono». Ha ragione. Lui disegna cromosomi, domani alleverà individui, non si sa bene di quale specie. Donoghue disegna uomini bionici, paraplegici che muovono gli arti e mandano email agli amici con il cervello. Qualcun altro è già riuscito a far udire i sordi, nel mondo esistono sei ciechi ai quali un chip dietro il bulbo oculare e un occhiale dotato di telecamera permettono di vedere qualche flash.Attorno a ricerche così affascinanti si muovono anche interessi enormi. John Donoghue è un uomo molto leale e lo ha detto subito aprendo la sua conferenza per Bergamo Scienza: «Io ho anche fondato una società, la Cyberkinetics: armatevi dunque di una sana dose di scetticismo, ma ascoltatemi». Il pubblico lo ha ascoltato infatti, attentissimo: alla fine la parte più interessante dell’incontro è stata proprio il botta-e-risposta con la gente. Donoghue era sorpreso. Non faceva che dire: «Ottima domanda», «perfetto», «obiezione superba». Un fuoco di fila di questioni che dimostra che in questi anni il livello si è rapidamente elevato, anche grazie a una manifestazione come Bergamo Scienza. Fa anche una certa impressione, proprio nell’Auditorium del Seminario dove si è appena concluso il Sinodo, vedere un pubblico così diverso. Fino a domenica scorsa qui i più colti parlavano latino. Ieri pomeriggio erano pochi quelli che facevano domande in italiano. John Donoghue - introdotto da Caterina Rizzi, della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bergamo - ha reso omaggio a Galvani, Rita Levi Montalcini, al (quasi) nostro Camilllo Golgi e alle loro ricerche sul sistema nervoso e sul cervello. Ma guardava all’altro capo della freccia del tempo. Siamo ancora agli inizi di quest’avventura nei meccanismi della vita. Inizi straordinariamente complicati, che hanno però giù il profumo delle imprese esaltanti. Come definireste voi il fatto di giocare un videogame senza tenere nessun joystick in mano ma indirizzando il cursore sullo schermo con la sola forza del pensiero? Spostare gli oggetti con la mente: è la realizzazione di un sogno che abbiamo fatto un po’ tutti da bambini, e che la scienza oggi, come una nuova magia, realizza. Gianvito Martino presentando Donoghue lo ha definito «un pioniere assoluto». Metafora perfetta: siamo sulle Frontiera, anzi, abbiamo ormai sconfinato oltre la linea che ci era stata assegnata. Ci muoviamo in un Nuovo mondo e stiamo cercando l’oro del XXI secolo, non c’è dubbio. Così come è evidente che né lo sceriffo né il prete sono ancora arrivati sulla riva di questo fiume. È un progetto difficilissimo, che nasconde molti rischi, ma non si può non avvertirne il fascino. Donoghue, detto in breve, impianta un sensore nel cervello a persone tetraplegiche, affette da Sclerosi laterale amiotrofica, devastate da un ictus, che non muovono cioè né gambe né braccia né molte altre cose del loro corpo. La sua ricerca - ha spiegato - segue due linee di sviluppo, entrambe straordinarie: quando ad esempio si è guastato il midollo spinale, una strada mira a costruire un ponte artificiale fra il cervello e i muscoli, per far funzionare di nuovo le nostre «periferiche» inceppate; l’altra punta direttamente a fare a meno del corpo, e collegare il cervello a un computer attraverso il quale comandare protesi robotiche, come un braccio meccanico capace di afferrare una lattina di Coca-cola, domani chissà cos’altro. Per ora i suoi pazienti stanno imparando a cambiare canali tv, azionare una carrozzella, disegnare cerchi al computer. Donoghue immagina di aiutare a curare l’epilessia, la depressione, le disfunzioni sessuali. Ma è evidente quali finestre spalanca l’idea più radicale che ha illustrato: mettere la mente umana direttamente in relazione con il mondo, bypassando il corpo. (07/10/2007)Carlo Dignola
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