In Messico Marco si scopre maratoneta

Resta il problema dell’attraversamento dell’Asia: visti e strade sono le difficoltà

LA PAZ (MESSICO) - Di corsa verso San Diego. Di corsa perché non posso più concedermi il lusso di perdere tempo considerato il pesantissimo ritardo accumulato nel raid, perché in terra statunitense devo risolvere problemi che stanno diventando enormi e sono inerenti alla continuazione dell’avventura in Asia e perché domenica parteciperò alla «Rock and roll marathon» nella città californiana. Quella di correre, scusate è preferibile dire tentare di correre la maratona, è un’idea nata quasi per caso, è una sfida con me stesso e, nonostante il mese di allenamento preventivato si sia rivelato un fallimento totale e si sia ridotto a una settimana per l’impossibilità di scovare due ore libere al giorno, confido di annullare la distanza di 42 km e 195 metri nel limite delle sette ore consentite dal regolamento. Sarà massacrante e sicuramente maledirò il momento in cui ho deciso d’inventarmi maratoneta.
Ma l’impresa titanica non è quella che mi attende con le scarpette da ginnastica, bensì è quella di costruire il percorso per rientrare in Europa attraverso l’Asia. Nella precedente puntata vi avevo raccontato delle scarsissime possibilità di avere il visto cinese per realizzare il progetto originario India-Nepal-Tibet-Cina-Mongolia-Russia.

In quasi un mese la situazione non è cambiata di una virgola, nel senso che da Avventure del mondo non ho avuto più nessuna notizia. Sto studiando se la pista Russia-Mongolia-Russia con partenza da Vladivostok, alternativa numero uno, sia tecnicamente praticabile (anche se vorrebbe dire sorbirmi 7.000 km di Siberia), ma sto ancora brancolando nel buio (i rebus sono il visto russo, la nave cargo per Vladivostok, la condizione delle strade...).

L’alternativa numero due, India-Pakistan-Iran-Turchia, non è meno complessa, ecomunque preferirei evitarla. Spero d’individuare la strategia per conquistare l’Asia, nel mio Risiko pacifico, entro la metà di giugno e Seattle è destinata a diventare una tappa fondamentale per la sua posizione geografica e perché ha un consolato russo e un porto con cargo per numerose destinazioni. Non vorrei dover rientrare a nuoto con il Land Cruiser sulle spalle....

Una soluzione di riserva ci sarebbe: reinserire l’Australia come tappa con il fuoristrada (avevo deciso di visitarla senza le quattro ruote per ridurre tempi e costi) e saltare totalmente l’Asia, ma sarebbe un sacrificio che svilirebbe il senso del raid. Saltare l’Asia e i suoi sterrati mi consentirebbe peraltro di non diventare matto per ridare la trazione integrale al fuoristrada.

Vi sembrerà impossibile, ma nemmeno in America Centrale e in Messico le numerose officine Toyota interpellate sono state in grado di far saltare fuori il pignone a 10 denti e la corona a 43 denti per riarmare il differenziale anteriore del mio Land Cruiser. E non è così scontato che la Toyota Usa abbia i pezzi di ricambio. Per esaurire il discorso sul fuoristrada (64.000 km percorsi in dieci mesi e mezzo), escludendo la rottura del differenziale anteriore e sorvolando sulle sospensioni posteriori, che stanno sostenendo una durissima lotta con i maledetti topes messicani e sarebbero da sostituire, il Land Cruiser sta resistendo con solidità e non mi dà al momento serie preoccupazioni.

Quanto al raid, dopo un marzo di sofferenze per il superamento dell’Amazzonia e un aprile di snervante organizzazione a Caracas per inviare il fuoristrada dal Venezuela a Panama via mare, maggio è stato finalmente un mese splendido in cui ho recuperato in un battibaleno il Land Cruiser al porto panamense di Colon, ho attraversato l’America Centrale velocemente (saltati soltanto El Salvador e Belize), ma fermandomi dove volevo e senza sopportare il minimo contrattempo nel festival delle frontiere, e sono approdato in Messico avendo come principale obiettivo la costa del Pacifico in quanto l’area caraibica l’ho già visitata anni fa.
A Panama, attendendo il fuoristrada, mi sono riposato nell’isola Bastimentos(arcipelago Bocas del Toro, Caraibi. qui sopra), in Costa Rica mi sono immerso nella «pura vida» della natura e nel parco nazionale di Manuel Antonio, sulla costa ovest, ho avuto la fortuna di fotografare un bradipo (qui a lato).


Toccata e fuga in Nicaragua (qui sotto).


In Honduras ho penato un po’ (sono un bipede terrestre, non marino) per garantirmi ilbrevetto subacqueo Open Water Diver della Padi nell’isola caraibica di Roatan, dove c’è una delle più spettacolari barriere coralline del mondo (a destra).

In Guatemala ho rivissuto nella capitale il dramma dei bambini di strada abbandonati a un destino di miseria e di morte e mi ha entusiasmato il mercato domenicale di Chichicastenango, un’esplosione di colore e di fiori (a sinistra).


Infine in Messico, uno dei miei Paesi prediletti (attualmente sono nella Baja California),ho scoperto il mondo del surf a Puerto Escondido (a destra), con le sue «Mexican Pipeline», onde leggendarie alte 8-10 metri, e una perla coloniale, Taxco (sotto).


La continuazione del racconto su Argentina e Cile nella prossima puntata, se sopravviverò alla maratona....
Marco Sanfilippo

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