Signor bandito

L’umana curiosità e il timore, sedato da mille scaramanzie, che un giorno potrebbe toccare anche a noi, ci spingono spesso a guardare, in Rete, quei video che, tratti da circuiti di sorveglianza, colgono drammatici momenti di furti e rapine. Ciò che scorre sotto l’occhio della telecamera è un copione troppo prevedibile. L’irruzione di una o più persone nella routine di un esercizio commerciale, i movimenti bruschi, le minacce, l’arma puntata a terrorizzare, la furia predatoria e infine la fuga.

È possibile che questo copione subisca variazioni? Certo: c’è la possibilità che la vittima reagisca, oppure che le forze dell’ordine riescano ad arrivare per tempo. Al di là di queste poche varianti, però, non sembra che la sceneggiatura possa andare. E invece, a Napoli, qualcosa di diverso è capitato. Il video di una rapina in gioielleria mostra irruzione del criminale, accompagnato da una complice, le minacce con tanto di pistola al commerciante, lo svuotamento della cassaforte e, prima della fuga, la stretta di mano. Immaginerete che i due banditi si siano congratulati tra loro per un colpo “ben fatto”. Non è così: a stringersi la mano, come dopo una transazione civile e proficua, sono stati bandito e vittima.

Vien da ridere a pensare che la stretta di mano nasce, come segno di pace, proprio dalla volontà simbolica di dimostrare all’interlocutore di non stringere alcuna arma in pugno. Qui il suo senso viene del tutto stravolto: vittima e violento sanciscono con una stretta di mano il loro rapporto sbilanciato, la predominanza dell’uno sull’altro e, semmai, da parte del commerciante, esso rappresenta una sorta di umile riconoscimento al fatto che il bandito, in fondo, poteva comportarsi pure peggio. Se siamo ostaggi della criminalità da strada al punto da fraternizzare col rapinatore “meno peggio” siamo davvero messi bene. A meno che dietro quella stretta non ci sia una storia diversa. Speriamo davvero che qualcuno riesca a raccontarla.

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