Lo specchio dell’arte

Mentre la politica italiana sembra impantanata nelle sulfuree paludi di Quarto, dalla provincia di Reggio Emilia giunge – ma passa quasi inosservata – la notizia che il Pd ha chiesto le dimissioni del sindaco di Brescello. Informazione rilevante perché il sindaco, pur non iscritto al partito, era sostenuto dal Pd medesimo il quale, ora, gli toglie letteralmente la cadrega da sotto il sedere.

La ragione sta nel fatto che il Comune stesso era stato invaso, mesi orsono, da una commissione prefettizia in cerca di inflitrazioni mafiose, ovvero di legami stretti tra l’amministrazione e quell’efficiente sodalizio e un po’ allergico alle leggi dello Stato che passa sotto il nome di ’ndrangheta.

Perdonerete la leggerezza e l’ironia: sono maschere calate a contenere l’indignazione. Sentimento insorgente ogni volta che si scopre che un ramo o un rametto dello Stato – e dunque della collettività – finisce nelle mani del crimine organizzato, insopprimibile quando si scopre che il rametto in questione appartiene anche alla storia della letteratura popolare.

Non si può dimenticare, infatti, che Brescello è il paese di Peppone e don Camillo, reverendo il secondo, sindaco (comunista) il primo, sospettato di tantissime cose – soprattutto di infedeltà coniugale e assoluta fedeltà staliniana – ma mai di collusione con la mafia. Si immagina anzi che a eventuali mafiosi, Peppone avrebbe volentieri “polverizzato il sedere a pedate”.

Da lettori di Guareschi – e da spettatori dei film di Duvivier – non dovremmo accontentarci di provare fastidio per la presunta intrusione criminale nel “Piccolo Mondo” del Po emiliano: dovremmo proprio indignarci, perché ci sono casi in cui la letteratura impasta i luoghi con se stessa e rispettare la prima significa rispettare – e riscattare – i secondi. Fin dai tempi di Shakespeare – e anche da prima – si ragiona e si sragiona su quanto l’arte debba far da specchio alla vita. Ma se qualche volta la vita prendesse esempio dall’arte, non sarebbe meglio per tutti?

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