La parola
moltiplicata

Di questi tempi una buona parola serve sempre. Tanto è vero che di buone parole è pieno il mondo: letteralmente. Non possiamo «vederle» riempire il mondo perché esse corrono nei cavi elettrici, rimbalzano tra i satelliti e passano dalle celle delle comunicazioni telefoniche.

Possiamo visualizzarle solo una a una, o poco più, sugli schermi dei computer e dei telefonini ma se potessimo scorgerle per davvero, come in un’istantanea scattata in una frazione di secondo a vostra scelta, scopriremmo che sono dappertutto: intorno alle nostre teste, nella stanza che occupiamo, sulla strada che percorriamo in automobile.

Sono solo fantasmi di parole buone ma sono tanti, tantissimi. La ragione di questo numero sproporzionato è che si moltiplicano, si replicano, aumentano di secondo in secondo. Non lo dico io e neppure me lo sono sognato: l’esame approfondito di milioni di “tweet” e di circa un miliardo e mezzo di “post” su Facebook nell’arco di due anni lo dimostra. Le parole “buone”, dicono i risultati dell’esame, circolano di più di quelle “cattive”. Molto di più. Ora bisognerebbe intendersi su cosa sono le parole “buone” e cosa invece quelle “cattive”. L’esame di cui sopra definisce le prime, con più precisione, come “positive”, aggettivo dal quale possiamo agevolmente farne figliare altri come “incoraggianti”, “educative”, “ottimiste”, “caritatevoli”, “ costruttive” e, in ultima analisi, “buone”. Al contrario, le parole “cattive” vengono anche schedate come “negative” e, in un gioco di specchi, possiamo immaginarle “distruttive”, “polemiche”, “ aggressive” e “pessimiste”.

Vuol dire questo che al mondo c’è più bontà che cattiveria, più ottimismo che pessimismo, più ragione che follia? Non credo: vuol dire soltanto che la riposta umana a certi impulsi sta nel prediligere quelli incoraggianti a quelli distruttivi. Non so se da questo possa discendere un bene concreto per l’umanità. Non lo so, ma lo spero. E “speranza” è certo una parola capace di moltiplicare se stessa.

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