Buonanotte
Sabato 07 Maggio 2016
Fiume piatto
Ieri, dopo avervi intrattenuto (?) sul tema della memoria che se va, subito mi sono ripromesso di parlarne anche oggi. Eccomi qui, dunque, deciso a rispettare l’impegno con me stesso ed esultante per il fatto di... essermene ricordato.
Il desiderio di tornare sul tema è dettato da una necessità: quella di trovare un alibi per il crescente numero di dimenticanze che costellano le mie giornate. Certo, non posso respingere del tutto la verità: la memoria declina insieme al corpo e per tale processo non c’è che un colpevole, ovvero il tempo che passa. Mi coglie però il sospetto che ci sia dell’altro e cioè che il tempo, oggigiorno, non si limiti a «passare», attività cinica e nobile insieme, svolta impeccabilmente per miliardi di anni, ma abbia preso a tirarci in continuazione per la giacca. Non è colpa del “tempo” in sé, si capisce, perfettamente contento di continuare a stritolarci con la pazienza che lo contraddistingue, ma dell’uso che ne facciamo.
Il tempo di noi tutti, oggi, è sovrapposto, stratificato: ci è richiesto di essere presenti e attivi su più livelli contemporaneamente. Al lavoro, abbiamo svariati incarichi da svolgere nello stesso momento; a casa, ci sottoponiamo a stimoli coincidenti, spesso in conflitto, che all’unisono richiedono la nostra attenzione.
Su tutto, poi, si stende «l’altra» vita, quella che ormai ognuno conduce in parallelo a quella tradizionale: la vita della Rete, dei social, che si intreccia - dentro e fuori, dentro e fuori - con l’esistenza “concreta”, in modo da raddoppiarla, farle eco, sottolinearla, darle enfasi e incrementare lo sforzo per sostenerla.
Bella teoria, non trovate? Peccato che potrebbe essere del tutto sbagliata: in effetti, non ho alcun elemento concreto per sostenerla. E però - se volete crederci - è così. In fondo basta chiudere gli occhi per accorgersene: il tempo pare assestarsi, scorre piatto come un torrente giunto stanco in pianura e la memoria, in pace con se stessa, si ricompone.
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