Studia con un Nobel
le oscillazioni della luce

Ogni mattina Laura Agazzi di Capriate San Gervasio si sveglia nel suo appartamento di Monaco, prende la metro e va al lavoro: direzione Martinsried, un sobborgo a 15 chilometri a sud dal capoluogo della Baviera. Non è un posto qualsiasi: si tratta di un polo scientifico che ospita i più importanti nomi di aziende operanti nel campo della biochimica, neurobiologia, biotecnologia. Nemmeno l’impiego della 33enne è poi così ordinario. Da un anno e mezzo fa parte del team della Menlo Systems di Theodor Hänsch: Premio Nobel per la fisica nel 2005 grazie ai suoi studi sulla spettroscopia di precisione basata sull’utilizzo del laser. La bergamasca – laureata con lode in fisica a Pavia e con un dottorato all’università di Twente, in Olanda – realizza test e installazioni di «pettini di frequenza», ovvero «la rappresentazione grafica dello spettro di un laser in mode-locking», secondo Wikipedia.

Più facile comprendere di cosa si tratti, chiedendo direttamente alla geniale Laura. «Innanzitutto partiamo dal concetto di onda. La musica, per esempio, è una successione di onde sonore che “oscillano” un determinato numero di volte al secondo. La nota fondamentale del pianoforte, il LA4, è un’onda che oscilla 440 volte al secondo o, come si dice in fisica, ha una frequenza di 440 Hz. Anche la luce è un’onda - un po’ particolare, per la verità - ed è detta onda elettromagnetica. Oscilla molto più velocemente di una nota musicale: basti pensare che il colore verde ondeggia quasi 600 milioni di milioni di volte al secondo. I pettini di frequenza entrano in gioco nel misurare questo altissimo numero di oscillazioni, o equivalentemente, la loro frequenza. Potremmo considerarli una sorta di “righello” per determinare la frequenza della luce. La loro invenzione ha portato al premio Nobel perché, pur essendo incredibilmente precisi, sono relativamente semplici: si tratta “soltanto” di un laser e un po’ di elettronica, mentre prima - se uno scienziato voleva misurare la frequenza della luce - aveva bisogno di parecchie stanze stipate di macchinari. Le applicazioni sono molteplici: si va dallo studio dettagliato dell’idrogeno - l’atomo più semplice e quindi alla base della meccanica quantistica - alla caratterizzazione di orologi atomici sempre più sofisticati, che perdono un secondo ogni 15 miliardi di anni. Tutto ciò non solo ci permetterà di capire se le costanti della fisica siano veramente tali nel tempo, ma pure di sviluppare migliori sistemi di comunicazione e Gps, o analizzare la forza di gravità in modo talmente esatto da consentire, un giorno, di predire in anticipo l’arrivo dei terremoto».

Quando parla della sua professione, l’entusiasmo è palpabile: nonostante siano passati 23 anni, sembra di avere davanti agli occhi quella ragazzina che ad appena 12 anni decise che da grande avrebbe fatto la fisica. «In prima media, la mia insegnante di lettere invitò un appassionato di astronomia affinché ci tenesse una lezione: per me fu una rivelazione, al punto che da quel momento in poi iniziai a fare la spola dalla biblioteca del paese per leggere tutti i libri dedicati all’argomento. Testi molto divulgativi, tipo Stephen Hawking. Lo stesso avvenne quando - in quarta liceo scientifico al Sant’Angela Merici - soggiornai un anno in Iowa (Stati Uniti), grazie a una borsa di studio di Intercultura. La scuola americana è molto più semplice: avevo un sacco di tempo libero, quindi potevo rifugiarmi nella “library” a divorare testi scientifici».

Poi la laurea e il dottorato nei Paesi Bassi. «Nei cinque anni trascorsi a Twente mi occupai di ottica integrata, ovvero su chip. Inoltre tenevo corsi ed esercitazioni per gli allievi. Lo ricordo come un periodo meraviglioso: l’ambiente era stimolante e avevo tanti amici. Eppure mi mancava qualcosa: le montagne. Strano, perché da piccola sbuffavo ogni fine settimana, quando i miei genitori trascinavano me e i miei quattro fratelli sulle Orobie a fare escursioni o sport; eppure lì, a 30 metri sul livello del mare, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Al punto che fu proprio allora che iniziai ad arrampicare, ovviamente in palestra. Ancora oggi mio papà sa che appena atterro a Bergamo, tempo zero mi deve portare a fare un giro sulle nostre vette».

L’amore per la montagna spinge la ragazza a spostarsi in Austria, come collaboratrice di una start-up che produce laser di dimensioni ridotte, fondata da un ex allievo di Ursula Keller, una fisica in odore di Nobel. Un’esperienza faticosa sotto ogni punto di vista. «Vivevo a Götzis, un paesello piccino e chiuso, come i suoi abitanti. Basti pensare che in tre anni non riuscii a stringere amicizia con nessuno del posto: frequentavo unicamente espatriati. Lavoravo un minimo di 60 ore a settimana e, a lungo andare, la situazione diventò insostenibile. Trasferirmi in Germania è stata una benedizione: sebbene i tedeschi non siano calorosi, i colleghi sono tutti gentili. C’è persino una segretaria che parla italiano: il 30% dei dipendenti Menlo sono donne, ma ricoprono prevalentemente mansioni amministrative. Di fisiche siamo soltanto tre. Qui ho conosciuto anche un altro bergamasco: Michele Giunta di Calvenzano, dottorando».

Il futuro di Laura non contempla un rientro in Patria, per «cause di forza maggiore». «Purtroppo, le prospettive economiche e contrattuali in Italia non consentono agli studiosi di esercitare con tranquillità: ho un’amica al Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche ) il cui mandato viene rinnovato di anno in anno. Torno spesso, però, a casa: la cosa buffa è che percepisco una sorta di soggezione nei confronti di ciò che faccio. Quasi nessuno mi chiede in cosa consista o come vada il mio lavoro: piuttosto, mi interrogano su ciò che mangio o sulle condizioni metereologiche. Forse è meglio così: qui in Germania frequento solo colleghi - anche il mio fidanzato è del settore - e quando si esce insieme si finisce sempre col parlare del nostro mestiere. Lo confesso: non potrei chiedere di più alla vita. A differenza di mia sorella, da piccola non ho mai sperato di incontrare il principe azzurro in sella a un cavallo bianco: il mio unico desiderio era diventare una fisica. Sono felice: sono stata assunta da un Nobel e ogni giorno lavoro in un’azienda che opera alle frontiere della fisica». Il sogno di quella bambina di 12 anni si è davvero avverato.

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: bergamosenzaconfini@ecodibergamo.it.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gian Luca Beccarelli

7 anni, 5 mesi

Superlaura!!!!

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Gregorio Zappatini

7 anni, 5 mesi

Finira' ai CERN dove la direttrice e' italiana.

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Mario Trovenzi

7 anni, 5 mesi

Se fosse da noi se lo scorda di arrivare ogni mattina in orario coi mezzi pubblici (e probabilmente di fare il lavoro che fà in germania dove i ricercatori son trattati come tali, lo stesso dicasi per regno unito, stati uniti ecc.) e poi interroghiamoci sulla fuga dei cervelli dal nostro paese

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luigi zambetti

7 anni, 5 mesi

Forse il fatto che in Germania ci sia possibilità di lavorare con la propria testa ed il fatto che si possa andare al lavoro col treno sono collegati ...

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Damiano Valoti

7 anni, 5 mesi

Entrambi fattori che fanno la differenza tra un paese (generato dai suoi governanti) di serie A ed uno di serie dilettantistica!

Alessandro Veneziani

7 anni, 5 mesi

Grandissima! Complimenti di cuore!

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