In Guatemala vende gelato
per salvare donne e bimbi

Sulle sponde del bellissimo Lago Atitlàn la via scelta da Daniela Raccagni per il riscatto sociale di donne e bambini indigeni guatemaltechi passa per un buon gelato. Trentenne di Romano di Lombardia, Daniela è arrivata in Guatemala nel 2015 e nel paese dell’America Centrale, che considera un vero e proprio paradiso terrestre, ha da poco aperto una gelateria artigianale i cui ricavi andranno a sostenere una ong in supporto della popolazione locale indigena più bisognosa.

«Sono un’assistente sociale – racconta Daniela –, con laurea triennale all’Università di Milano-Bicocca e specialistica in “Sviluppo e coesione sociale per le popolazioni indigene” all’Università Pablo De Olavide di Siviglia. Ho lavorato qualche anno per una importante ong che opera in Australia, Africa e Centroamerica, poi però la vita mi ha messo di fronte a grandi difficoltà». Tra il 2014 e il 2015 la malattia dei genitori ha infatti richiesto alla giovane Daniela di dedicarsi completamente a loro per un lungo periodo, al termine del quale entrambi se ne sono andati, a poco tempo di distanza l’uno dall’altro.

«Quest’esperienza – spiega Daniela – mi ha lasciato l’insegnamento più grande, e cioè che la vita bisogna goderla nella semplicità, perché è fantastica così com’è». Poi Daniela ha scelto di viaggiare: «Sono stata un mese in Messico – racconta –, la mia idea era quella di percorrere l’America del Sud e arrivare fino in Cile. E invece, nel settembre 2015, mi sono fermata in Guatemala, ed è stata la cosa più bella che potesse succedermi».

A rapire Daniela, in particolare, è stato il lago Atitlàn. «Un luogo magico e pieno di energia – lo descrive Daniela –, incastonato tra sette vulcani, uno dei quali ancora attivo, a 1.500 metri sul livello del mare e immerso in un’eterna primavera, dove di notte si vedono stelle grandissime. Dopo quello che avevo passato, qui ho trovato persone che mi hanno accolta e aiutata». E, soprattutto, qui Daniela ha trovato tanti indigeni (il 75 per cento della popolazione del Paese, la sua parte più povera), discendenti dell’antico popolo Maya.

Decide così di fermarsi a San Marcos la Laguna, un paesino di tremila abitanti, «persone stupende che vivono una vita semplice, rurale», sulla sponda del lago. Ricomincia a lavorare con una ong locale poi, l’anno scorso, la svolta: «Ho deciso di aprire una nuova ong – racconta Daniela – tutta dedicata a donne maltrattate e bambini orfani o che lavorano per strada: un’alternativa efficiente al sistema pubblico per ridare dignità alla fascia di popolazione povera e costantemente bisognosa d’aiuto. Qui in Guatemala, infatti, non ci sono scuole e strutture sanitarie accessibili a tutti, e i servizi sociali sono assenti».

Il progetto prenderà il via a maggio, mentre proprio in questi giorni ha aperto i battenti l’attività imprenditoriale che consentirà alla stessa di stare in piedi economicamente. «Per finanziare il progetto – spiega infatti Daniela – ho deciso di aprire una gelateria. Ci sono molti stranieri che vengono a visitare il lago Atitlàn e per questo si sono sviluppati diversi servizi legati al turismo, ma il gelato manca. Io offro un prodotto di qualità, sostenibile e artigianale, realizzato con macchine italiane e frutta esotica locale. L’estate scorsa sono tornata in Italia per imparare i segreti della gelateria artigianale: ho conosciuto Manuel Fratus, titolare della gelateria ParadIce di Martinengo, che ascoltando il mio progetto non ha esitato un minuto nell’insegnarmi i segreti del suo gelato, che è un’opera d’arte della tradizione italiana. Con la mia attività rifornirò hotel, ristoranti, e in più venderò il gelato direttamente nel punto vendita appena aperto, nella città di Panajachel. La mia ong dovrà essere autosostenibile, il che vuol dire indipendente e senza doppi fini, libera da corruzione e da imposizioni esterne: quella della gelateria mi è sembrata una bella idea per raggiungere questo obiettivo (è stato comunque aperto un fundraising online sul sito gofundme.com, ndr)».

Quella avviata in questi giorni è dunque una nuova sfida, per Daniela, destinata ad alimentare il sogno ben più ampio di poter prendersi cura della popolazione indigena guatemalteca. «Il Guatemala si trova in un disastro socio-sanitario – spiega –. Per quanto riguarda la condizione delle donne c’è un grande maschilismo e numerose violenze domestiche, senza alcuna possibilità di riscatto sociale per loro, che non lavorano: ciò che si vede tipicamente sono uomini impegnati a lavorare come falegnami o nelle campagne, mentre le donne al massimo vanno al mercato a vendere la frutta per terra. Molti bambini, invece, sono orfani a causa di calamità naturali, della povertà, della violenza. Le madri, spesso minorenni, non sono in grado di badare ai neonati e li abbandonano in ospedale: finiscono così in orfanotrofi dalle condizioni pietose, in cui si trovano a contatto anche con ragazzi che delinquono e che vengono messi qui perché nel Paese non esistono carceri minorili. Io – riflette Daniela –, che sono rimasta orfana a 26 anni, ho sentito il dovere di aiutare questi bambini: ho tanti progetti in mente e un orfanotrofio degno di questo nome, radicalmente diverso dalle strutture disumane oggi esistenti, potrebbe essere un punto di arrivo. Prima però penso a educazione e servizi sociali, uno sportello per il lavoro, uno per le donne abusate e maltrattate: vorrei fornire, insomma, quei servizi che lo stato non dà. Il Guatemala – conclude Daniela – ha risposto a tutte le mie esigenze: dal punto di vista professionale, dopo i miei studi non c’è posto migliore di questo per incarnare le mie passioni. Inoltre, l’amore per lo spagnolo, il clima mite e i laghi fanno di questo luogo il mio paradiso in terra».

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