Bergamo senza confini
Domenica 22 Maggio 2016
«In Ecuador progetto
case contro i terremoti»
«Ogni volta che ho allargato un po’ di più i miei orizzonti, le cose sono andate sempre meglio». E dalla posizione in cui si trova oggi, Simone Belli, 34 anni, l’orizzonte lo sta disegnando. Una pagina nuova per l’Ecuador che, anche dopo il terribile terremoto del 16 aprile scorso, con il presidente Rafael Correa sta cambiando con coraggio e raccogliendo, anche nella tragedia, i frutti dei propri investimenti.
Simone Belli, originario di Carvico, da un anno e mezzo è titolare della cattedra di Innovazione e Imprenditorialità nel polo universitario di Yachay Tech, a Urcuquí, a Nord della capitale Quito. Un progetto ambizioso che mira allo sviluppo di una Silicon Valley dell’America Latina, un sistema capace di impattare in modo forte sullo sviluppo economico e sul futuro di questa terra, puntando le proprie energie su una parola chiave per il cambiamento consapevole: la ricerca. «Yachay, in lingua quechua, vuol dire conoscenza. Yachay Tech è quindi l’Università della conoscenza – spiega Simone –. È nata tre anni fa in mezzo alla sierra equatoriana, a 2.400 metri di altezza su un terreno di centinaia di ettari, un’ex piantagione di canna da zucchero riconvertita a polo tecnologico, con laboratori di ricerca per tutte le discipline scientifiche, che sta richiamando intorno a sé le principali aziende multinazionali». È un’università pubblica bilingue, dove le lezioni si svolgono in spagnolo e inglese e che, al momento, accoglie i migliori studenti da Ecuador, Cile, Colombia e Cuba.
Per entrare occorre superare un test d’ingresso che non mira a valutare la conoscenza
di tipo nozionistico, ma le abilità logiche, matematiche e la capacità di sviluppare un pensiero laterale e astratto. Chi viene accettato riceve una borsa di studio che garantisce la retta universitaria, vitto e alloggio. Per mantenerla gli studenti non possono scendere sotto la media dell’8. «Yachay Tech nasce per combattere l’idea che l’istruzione sia appannaggio dei ricchi – dice Simone –. Prima della sua fondazione, le alternative per i giovani erano di emigrare negli Stati Uniti o iscriversi alle costose università private che ora, con l’incredibile opportunità che la mia università sta offrendo, stanno chiudendo».
Sono stati chiamati alla Yachay Tech dall’Europa, Asia, America Latina e Stati Uniti, giovani docenti con alle spalle un dottorato di ricerca e pluriennale esperienza sul campo offrendo loro una cattedra, ma soprattutto la possibilità di cambiare la società, cambiare la matrice produttiva e cognitiva del Paese, investendo su idee innovatrici in grado di stare sul mercato reale, non solo per guadagno, ma per creare posti di lavoro e dare vita a un meccanismo di innovazione sociale.
«Dalla tragedia del terremoto, l’Ecuador sta dimostrando di avere un sistema solido ed è stato in grado di offrire subito un supporto alle persone che hanno perso casa e famiglia – racconta Simone –. Tra questi, purtroppo ci sono molti studenti della nostra università. Dal canto nostro, con l’équipe dei ricercatori e gli studenti abbiamo attivato programmi per contribuire alla ricostruzione del Paese e collaborare con lo stato di emergenze grazie al contributo della scienza e della tecnologia. Stiamo ad esempio lavorando a un sistema diffuso di riciclaggio della carta, nel campus e nei paesi limitrofi, per produrre materiale scolastico, come libri e quaderni, da destinare alle scuole terremotate. Parallelamente stiamo studiando la costruzione di alloggi di emergenza per le famiglie che hanno perso la casa. Sono costruzioni in canna di bambù, realizzabili in due giorni di lavoro, a impatto zero e che possono durare fino a 25 anni».
Un altro contributo importante è arrivato da un progetto ideato da un gruppo di suoi studenti e premiato al concorso internazionale di ricerca dell’Università di Bath, in Inghilterra nel gennaio scorso. «Si tratta di un filtro in ceramica, semplice da utilizzare, interamente organico e a basso costo, che sfrutta le proprietà antibatteriche dei semi macinati della “Moringa oleifera”, una pianta diffusa nell’America Latina. I ragazzi stanno portando questi filtri alle popolazioni della costa, dove l’acqua potabile scarseggia».
«È questo lo spirito di Yachay – spiega Simone –: un ponte di collegamento tra la scienza, il settore privato e la società, perché il ricercatore deve sempre pensare che esiste una società e che quello che facciamo qui ha degli effetti che possono arrivare dall’altra parte del mondo. Su 80 docenti, il 90% sono stranieri e io, al momento sono l’unico italiano. Alcuni miei colleghi hanno collaborato con premi Nobel e sono riconosciuti a livello mondiale. Qui ci sono le menti giuste, gli strumenti e la visione. Al di là dell’attuale situazione che stiamo attraversando, alla Yachay Tech c’è da sempre molta energia, le giornate ti assorbono e tocchi con mano i risultati di quello che stai portando avanti. Il semestre scorso ho lavorato con i miei studenti su 30 progetti diversi e l’innovazione è stimolata dal lavoro di gruppo, che è fondamentale».
«La parola ricerca ha un significato autentico e pulsante ed è molto lontano da quello che si vive in Italia, dove spesso coincide – e finisce – con la pubblicazione di articoli su riviste scientifiche – dice Simone –. Dalla mia posizione, che in questo senso è assolutamente privilegiata, puoi vedere come la società sta cambiando grazie al tuo apporto».
Simone è partito dall’Università di Bergamo, studente alla facoltà di Scienze dell’Educazione e contemporaneamente lavoratore full time in un supermercato per pagarsi gli studi. Poi l’opportunità dell’Erasmus a Barcellona, dove intercetta le possibilità reali, le coglie e fa il salto.
«Conoscevo il mondo del lavoro, ma quello che volevo fare era studiare e l’Erasmus per me è stata la grande possibilità di dedicarmi interamente alla mia passione – racconta –: ho capito che l’Italia è solo uno dei mondi possibili e che la Spagna offriva opportunità diverse. Ho svolto lì la mia tesi di laurea in Psicologia sociale, seguita poi da un Dottorato di ricerca di 4 anni con l’Università autonoma di Barcellona che mi ha portato a Washington DC e a Manchester. Ho insegnato poi all’Università di Helsinki e a San Diego, all’Università della California e nell’estate del 2014 è arrivata la richiesta dall’Ecuador. Il mio ambito di ricerca è rimasto la Sociologia e Psicologia sociale. Il contributo di queste discipline in campo informatico è oggi fondamentale. Nella trasformazione digitale, le buone pratiche per la comunicazione sono un impegno a 360° perché è un cambiamento che coinvolge la società intera, nessuno escluso».
Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con Brembo S.p.A. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].
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