«In Bolivia per dare futuro
ai ragazzi usciti dal carcere»

Il suo impegno per una giustizia riparativa, per la reintegrazione sociale dei giovani detenuti: Eleonora Trapletti, 29 anni di San Paolo d’Argon, dalla scorsa primavera lavora come assistente sociale in Bolivia, a Viacha, città con oltre 50 mila abitanti a pochi chilometri dalla capitale La Paz. Eleonora fa parte della grande famiglia di Cvcs, il Centro volontari cooperazione allo sviluppo, che porta avanti progetti di solidarietà in tutto il mondo.

Un lavoro che le è entrato nel cuore, come una missione: dare una seconda occasione agli adolescenti e ai ragazzi che si sono macchiati di reati. Furti, rapine ma soprattutto il traffico di cocaina. La Bolivia resta una terra dai colori vibranti, pur con le contraddizioni sociali di una nazione ancora in via di sviluppo il cui prodotto agricolo più redditizio è la produzione di foglie di coca. Si conferma il terzo più grande coltivatore al mondo dopo Colombia e Perù, con una stima di 14 mila ettari coltivati. Più della metà della coca prodotta in Bolivia è destinata agli utilizzi tradizionali, la masticazione delle foglie secche per contrastare l’altitudine e la fame. Ma tutto il resto è destinato ad alimentare il mercato illegale della produzione di cocaina.

«Fin da subito la Bolivia si è presentata una realtà molto differente da quella alla quale ero abituata. – racconta la bergamasca –. I colori presenti nella città hanno catturato la mia attenzione e anche adesso, nonostante siano passati alcuni mesi, mi meraviglio ogni volta che scopro un angolo nuovo di La Paz. Il lavoro mi piace, mi occupo insieme agli altri assistenti sociali che stanno facendo il tirocinio per l’università, della fase post penitenziario. Il mio ruolo come assistente sociale consiste nel seguire i giovani che sono all’interno del centro di riabilitazione Qalauma da più di sei mesi. È importante capire quali siano i loro bisogni, possono variare da un appoggio sulla formazione scolastica, lavorativo, relazionale, psicologico, salute e legale. Oltre al mio aiuto e a quello dei miei colleghi che avviene attraverso strumenti specifici di lavoro sociale, tre volte a settimana la mattina coordiniamo alcune attività artistiche, di sviluppo musicale e letterarie, in modo che i giovani apprendano cose nuove e indirettamente capiscono l’importanza dell’impegno costante, per prepararli a un futuro lavoro».

Laureta in Sociologia all’Università di Trento ha poi proseguito gli studi a Madrid alla Fundacion San Martin de Porres, ricoprendo anche il ruolo di assistente sociale nell’ambito della vulnerabilità e disagio sociale nell’età adulta. Poi la partenza in Bolivia, Paese da cui è da poco rientrata proprio quando la Bergamasca si è trovata ad affrontare l’emergenza coronavirus. Ora anche in Bolivia è scattato l’isolamento e il rischio in particolare per chi vive nelle carceri di contrarre il virus è molto alto.

Il Centro di riabilitazione Qalauma è nato nel 2011 e si trova a un’ora da La Paz. Attualmente ospita 325 ragazzi e 15 ragazze dai 18 ai 28 anni in conflitto con la legge. «In lingua aymara, Qalauma significa acqua che scolpisce la pietra – sottolinea l’assistente sociale – e il significato è molto profondo, proprio perché il lavoro costante dei professionisti permette ai ragazzi di avere un cambiamento, di impegnarsi e avere pazienza. Perché fare questa trasformazione non avviene subito e non è facile, come il costante impegno dell’acqua che scolpisce la pietra».

Il Centro di riabilitazione Qalauma è nato dall’intuizione e dal lavoro di un altro bergamasco Riccardo Giavarini, 64 anni, originario di Telgate. Nel 2011 Giavarini ha ricevuto il premio nazionale del volontariato Focsiv proprio per l’impegno con l’ong Mlal nella realizzazione di Qalauma e soprattutto per aver portato alla luce delle istituzioni la delicata situazione dei minori in carcere. Negli anni sono molti i volontari che da Bergamo sono andati in Bolivia per un periodo di uno o due anni per dare il loro apporto educativo nella crescita di questo sogno diventato realtà.

Realizzata dal Mlal, Qalauma ha avuto inizialmente i finanziamenti della diocesi di El Alto, della Cei, di Unicef, Caritas italiana, la ong spagnola Intervida, la ong tedesca Pan Para el Mundo, l’arcivescovado di Colonia, e la solidarietà spagnola e italiana e di tanti bergamaschi amici di Riccardo.

In Bolivia si sta approfondendo il principio della giustizia riparativa che promuove la reintegrazione sociale del detenuto. Progetti che in passato hanno coinvolto diverse associazioni umanitarie e da alcuni anni sono stati accolti dal governo. Dal 2014 infatti è entrato in vigore il Codice del bambino e dell’adolescente, ribattezzato come Dichiarazione di La Paz.

«La finalità è quella della riabilitazione e i giovani hanno la possibilità di capire il proprio errore e prendere in mano la propria vita. – conclude Eleonora Trapletti –. Hanno tutti storie molto forti pur essendo così giovani, per questo è importante ascoltarli, dargli importanza e insieme a loro costruire un percorso di cambiamento e crescita. La realtà del sistema penitenziario non è facile, spesso mi scontro con una situazione completamente diversa dalla mia dal punto di vista culturale, sociale e lavorativo. Poi vedo i loro sorrisi (quelli dei detenuti), le loro speranze e i loro progetti futuri. E tutto cambia e torna a vibrare, come i colori di questo Paese».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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