Bergamo senza confini / Pianura
Domenica 18 Ottobre 2015
Ho mollato tutto
Ora vivo in Ruanda
«L’acqua è sorgente di vita»: questo è il motto dell’organizzazione internazionale per cui lavora in Ruanda Omar Fiordalisio, 41 anni, di Cologno al Serio.
Un motto che spiega pienamente ciò che fa in questo Paese situato nella zona dei Grandi laghi, nell’Africa dell’Est: da sette anni, infatti, Omar costruisce soprattutto acquedotti, portando acqua, e dunque vita, nei villaggi delle periferie ruandesi.
Prima del 2004 Omar era un carpentiere che lavorava nel mondo dell’edilizia bergamasca. «Avevo un lavoro sicuro che svolgevo da moltissimi anni e che amavo – spiega Omar –, avevo il posto fisso ed ero perfino diventato capocantiere. Facevo già parte di alcune associazioni di volontariato, in particolare della bergamasca Missiomundi, che si occupa di favorire lo sviluppo dei Paesi del terzo mondo attraverso la realizzazione soprattutto di linee di distribuzione elettrica (l’associazione è composta da molti ex dipendenti Enel in pensione che fanno volontariato ndr): per questo avevo vissuto alcune esperienze di vacanze-lavoro estive, per esempio in Bolivia e in Costa d’Avorio».
Proprio qui, nel 2004 Omar aveva conosciuto la malaria: «Ho contratto una bruttissima forma di malaria – racconta –: mi trovavo in periferia, così ho passato alcuni giorni di viaggio curandomi come potevo prima di arrivare all’ospedale. Sono subito rientrato in Italia e sono stato ricoverato per una settimana. Appena arrivato a casa mi sono detto “Mai più Africa!”».
Omar non sapeva in quel momento che in Africa ci sarebbe tornato, eccome. Passati alcuni anni gli è tornata la voglia di partire e un amico, conoscendo la sua esperienza nell’edilizia, lo ha messo in contatto con una ong a cui le sue competenze sarebbero potute risultare utili: il progetto e le persone che ha incontrato lo hanno appassionato a tal punto che dalla sera alla mattina (letteralmente!) si è licenziato dal suo lavoro e – era il settembre 2008 – è partito per il Ruanda, dove è rimasto negli ultimi sette anni. «Mi hanno fatto questa proposta una sera – spiega Omar –, e la mattina seguente ho presentato la lettera di dimissioni al mio capo. Tre settimane per chiudere il mio lavoro in Italia e poi sono volato in Africa. Una decisione avventata? La verità – commenta – è che in questi casi non è mai il momento giusto per partire».
Da allora Omar lavora per l’ong Mlfm, il Movimento per la lotta alla fame nel mondo (www.mlfm.it), e con questa si occupa dello sviluppo di diversi servizi, tra cui linee elettriche e, soprattutto, acquedotti, in passato anche grazie al finanziamento dell’Unione europea e del Mae (Ministero affari esteri). «Ho preso questa decisione – racconta Omar – perché questo progetto mi appassionava davvero molto: il mio lavoro in Italia mi piaceva, ma quando completi un’opera in Africa è tutto diverso. In Italia non avevo nemmeno finito un lavoro che ero già in ritardo con un altro, senza nemmeno la soddisfazione di guardarsi indietro. In Africa quando, dopo un anno di lavoro, termini la linea di un acquedotto che hai portato in un villaggio gli abitanti sono in festa, sei consapevole che hai migliorato davvero la vita della popolazione: quando apri il rubinetto per la prima volta sei ripagato delle mille fatiche, la soddisfazione è grandissima».
È noto come in Africa il problema dell’acqua sia uno dei più importanti: «Il Ruanda – spiega Omar – è coperto quasi interamente da colline: una delle difficoltà più rilevanti per la popolazione nel recuperare l’acqua è data dal fatto che spesso questa si trova nei fondovalle, che sono molto pericolosi. La gente abita solo in collina proprio perché il fondovalle è difficilmente accessibile, infestato dalla malaria e pericoloso quando piove. Così le donne devono fare anche quattro o cinque ore a piedi con le taniche di acqua in testa. Con il nostro lavoro – precisa – non riusciamo a portare l’acqua in casa, non ci sono abbastanza risorse per farlo, ma almeno riusciamo a creare fontane di acqua potabile, a duecento metri da casa. Per il villaggio è una conquista straordinaria».
Il primo lavoro ruandese (in quel caso erano 18 chilometri di linea elettrica nel villaggio di Muhura) ha fatto in modo che Omar conoscesse Marie, la donna che avrebbe poi sposato: ora i due vivono nella capitale del Ruanda, Kigali, insieme ai loro cinque figli. «La capitale – spiega Omar – si trova al centro del Paese, da qui mi posso muovere facilmente per raggiungere i vari cantieri che Mlfm sta seguendo. Oltre ai lavori veri e propri, importantissima per noi è la formazione. Le opere che realizziamo, infatti, devono essere sostenibili e devono poi essere mantenute dalle popolazioni del posto. È importante quindi che, oltre agli ingegneri edili e ambientali e ai capocantieri (come me), i protagonisti di queste opere siano uomini e donne ruandesi. Certo, per loro è difficile passare dal realizzare costruzioni in fango al cemento armato. Fondamentale per questo è la formazione che facciamo: la gente del posto sarà quella che in futuro dovrà curare gli acquedotti realizzati con noi, e formare a sua volta alla professione altri ruandesi secondo un processo di capacity building (ovvero costruzione delle competenze tecniche ndr). Solo così la nostra opera sarà incisiva».
Omar non sa se e quando tornerà in Italia. Certo è che in Africa non è solo: da casa riceve sostegno morale e finanziario, e per questo tiene a ringraziare, oltre a Missiomundi e a Mlfm, le associazioni «C’entra la solidarietà» di Cologno, di cui è stato socio fondatore e vice presidente fino alla partenza, «Progetto Gamba» di Cologno, nata in memoria di un giovane colognese scomparso prematuramente, e «Giuliano N’abana», nata in memoria di un bergamasco ucciso in Ruanda nell’ottobre di 14 anni fa.
Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della Comunità Bergamasca. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per tre mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected]
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