Dall’Australia a Londra
per sfondare nel rock

«In un ostello alcune persone mi avevano parlato di Camden Town, nel Nord di Londra, ho scritto il nome su un tovagliolo di carta e da Sidney sono volato in questo quartiere dove vivo ormai da 13 anni». Luca Ravasio, 40 anni, di Carvico, nella vita ha seguito la sua stella: il rock. La strada se l’è costruita in modo personalissimo, con uno spirito aperto e una passione sfrenata che, da autodidatta completo, oggi l’hanno portato ad essere il cantante della band di uno che nel rock ha fatto la storia: Mick Underwood, batterista e collaboratore del cantante dei Deep Purple e non solo.

«Oltre alla “Mick Underwood Glory Road” attualmente ho una media di tre concerti alla settimana con altre band in città e sto sviluppando anche dei progetti all’estero – racconta il bergamasco Luca Ravasio –. Un impegno che mi sta dando una buona copertura economica anche se per ora sto mantenendo il mio secondo lavoro part-time. Sono operatore sociale e da dieci anni seguo una signora disabile aiutandola nella gestione della casa, del suo studio e delle varie faccende. Lei è un’artista e abbiamo un rapporto incredibile. Sono sempre andato dove mi portava la musica e adesso sono molto felice perché sono partito dal marciapiede e quello che ho ottenuto, l’ho ottenuto da solo. Ho attraversato anche fasi di rabbia perché non riuscivo a ragionare esclusivamente con la mia testa e seguivo gli input che mi arrivavano da più parti, ma non ho mai mollato anche se ci è voluto un po’ di fegato a fare certe scelte. Ho realizzato il mio sogno, mi sento in crescita e sono sicuro di arrivare in vetta».

Luca la musica la sente nel sangue sin da bambino: «Alle medie volevo una batteria e la risposta dei miei genitori è stata: vai a guadagnarti i soldi. Così mi sono messo a lavare le macchine nel weekend e me la sono comprata. Poi ho fatto per un po’ il parrucchiere, frequentavo la scuola professionale e lavoravo, ma era chiaro che non era il mestiere per me, così sono andato a fare il magazziniere, caricavo e scarivo camion e nel tempo libero mi dedicavo completamente alla musica, suonavo in alcuni gruppi, batterista per un paio di anni e poi cantante, facevamo demo e incisioni. Dopo qualche anno un mio caro amico che gestiva la birreria “Keller” di Curno mi chiede di portare la musica rock nel suo locale, così a 19 anni lascio la fabbrica e inizio a lavorare di notte, in settimana come barista e organizzatore di concerti rock e heavy metal e nel weekend come Dj. Questo lo considero il mio più grande cambiamento: spostarmi dal mio piccolo paese e immergermi nel mio ambiente musicale in una dimensione cittadina».

Il salto dal paese alla città è stato un primo passo, poi anche la dimensione del capoluogo provinciale gli è diventato un po’ strettino. «Sono andato avanti per sei anni ma alla fine non ce la facevo più a lavorare di notte. Bergamo iniziava a starmi stretta. Non che ci fosse qualcosa di male nella mentalità bergamasca ma per me era come stare su un treno che va a senso unico ed è difficile apprezzarlo quando sei uno che vuole vedere lontano e non accetta di spostarsi sempre lungo lo stesso binario.Così sono partito. Sei mesi come animatore in un villaggio turistico in Egitto. Esperienza bellissima ma altrettanto soffocante; vivi costantemente in un chilometro quadrato e fai le stesse cose tutti i giorni. Certo la gente cambia e devo dire che alla fine della stagione avevo una rubrica infinita di contatti di persone che mi invitavano a casa loro in ogni parte del mondo. La musica, solo la musica, mi faceva vibrare davvero e sapevo bene che per diventare un vero cantante rock dovevo imparare l’inglese».

A un certo punto lo sguardo di Luca inizia a guardare veramente lontano, dall’altra parte del mondo. «Nel villaggio turistico molte persone mi avevano parlato dell’Australia e del fatto che stava accogliendo diversi giovani con un visto speciale per un anno e ho preso la decisione di trasferirmi a Sydney. In attesa di sistemare la questione burocratica, tra i tanti contatti del villaggio turistico ho scelto di andare a trovare dei clienti serbi e sono stati di parola, mi hanno accolto come un figlio, ho visitato la Serbia e il Montenegro e tutti gli stereotipi che avevo prima di partire sono saltati. Ho incontrato solo delle belle persone e una cultura molto accogliente e rispettosa. Sarei dovuto restare solo un paio di settimane, invece sono rimasto due mesi. È stato un viaggio molto ispirante, sarei rimasto oltre ma l’Australia mi aspettava anche se nemmeno lì ho trovato quello che cercavo».

La passione della musica non è facile da trasformare in professione nemmeno in Australia: «A Sidney ho fatto di tutto, dal muratore al commesso, non ho mai fatto corsi di lingua perché io imparo sempre meglio dalla gente per strada, contemporaneamente facevo audizioni per le band australiane ma non mi hanno mai preso e dopo sette mesi, dopo aver incontrato una coppia in un ostello che mi parlava di Londra ho scritto quel nome sul tovagliolo e sono atterrato dritto a Camden Town. È stato facile inserirmi qui, il quartiere degli artisti di una città cosmopolita al centro del mondo. La prima band l’ho trovata dopo solo dieci giorni i “Cavalar” e in tre mesi di duro lavoro avevamo scritto abbastanza pezzi per un disco che abbiamo deciso di registrare in Brasile perché tre ragazzi del gruppo erano di lì. In tre mesi a San Paolo abbiamo inciso i pezzi e suonato in tutti locali rock della città. Il disco era pronto ed era tempo di tornare a Londa per promuoverlo, ne abbiamo incisi poi altri due, ma alla fine non riuscivamo a ingranare davvero così ho creato un altro gruppo i “Future Shock” e iniziato a fare cover con altre band fino all’incontro recente con Mick Underwood, che da sempre considero un mito assoluto».

«Per me il rock è stato un modo per uscire dalla mentalità comune, ho iniziato ad ascoltarlo a 8, 9 anni. Ricordo, in particolare, due momenti nei quali ho sentito una fortissima attrazione per questo genere musicale: “Jesus Christ Super star” la primissima rock opera che mia mamma mi fece guardare da bambino e una musicassetta rubata a caso dalla macchina di mio cugino. Erano i Deep Purple, sento ancora l’energia che mi ha attraversato quando è partita quella canzone dal mangiacassette. Era “Made in Japan” e mi ha davvero cambiato la vita».

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