Da Scanzo a Osaka
per un Master in affari

Le sette ore che separano Bergamo al Giappone obbligano a scambiare con lui comunicazioni a singhiozzo, perché mentre qui è pieno giorno, là sta per venire buio, e viceversa.

Ma questo non ha impedito ad Attilio Nespoli, 26 anni, originario di Scanzorosciate, di scrivere al nostro giornale per raccontare la sua storia di bergamasco finito nell’impero del Sol Levante, contento del fatto che, in questo modo, la comunità orobica sparsa nel mondo si senta un po’ più a casa.

Attilio vive a Osaka, in una regione chiamata Kansai, nell’Ovest del Paese. Ecco come racconta il suo arrivo in Giappone nel settembre del 2013: «Per assurdo, in Giappone ci sono

finito andando verso Ovest. Nel senso che dopo essermi laureato in Economia e gestione aziendale all’Università Cattolica di Milano ho deciso di studiare inglese per un anno negli Stati Uniti, per essere in grado di frequentare un corso di Laurea specialistica in International management tenuto a Piacenza in lingua inglese. Ma le cose,poi, sono andate diversamente. Sono rimasto sorpreso – osserva Attilio – dalle differenze culturali tra gli Stati Uniti e l’Europa e, dal momento che in quell’anno avevo conosciuto molti asiatici, giapponesi, coreani e taiwanesi in particolare, mi sono posto la domanda: “Ma se l’America è cosi diversa, come sarà l’Asia?”».

«Un’esperienza in Giappone – prosegue – trovava oltretutto senso all’interno del percorso di studi che stavo facendo, quindi ho deciso di venire qui, supportato da un’ottima borsa di studio messa a disposizione da una prestigiosa azienda giapponese. Ora frequento il secondo anno di un Master in Business administration nella Business School della Kwansei Gakuin University. Nel frattempo, però, dò ripetizioni di italiano, e dovrei cominciare a insegnare italiano in due classi. Inoltre sto facendo uno stage part-time in una piccola azienda che fa da intermediaria per l’esportazione di integratori alimentari, medicinali e cosmetici giapponesi un po’ in tutto il mondo, ma principalmente nel Sud Est asiatico e negli Usa».

Una vita impegnata, insomma, ma d’altronde non può essere altrimenti in Giappone: «Se devo trovare un aggettivo per descrivere questo Paese – spiega Attilio –, lo definirei “impegnato”. Qui tutti hanno sempre qualcosa da fare in ogni momento della loro vita. Alle superiori vanno a scuola, fanno sport e doposcuola. All’università fanno parte di importanti club, in cui si dedicano a numerose attività extrascolastiche, e svolgono lavori part-time. Quando trovano un’occupazione lavorano tantissimo: minimo dieci ore al giorno, a cui spesso seguono cene con i colleghi». Viene da osservare, insomma, che quando si sente dire che a Bergamo o a Milano si pensa solo a lavorare, il paragone non regge. «Non c’è paragone – conferma Attilio –, basti pensare che qui tutti hanno una fitta agenda, si programmano anche le uscite con gli amici con un orizzonte temporale molto lungo, altrimenti non ci si riesce a trovare per settimane».

«Inoltre – aggiunge – un’altra caratteristica del Giappone che noto da quando vivo qui è che nel modo di vivere del Paese c’è molto individualismo: mi ha colpito il fatto che in famiglia non si mangia tutti insieme, ma ognuno segue i ritmi dettati dai propri impegni, oppure che con le persone che si incontrano non c’è rapporto fisico, spesso nemmeno una stretta di mano, anche se il tradizionale inchino è d’obbligo con tutti».

«Certo – commenta quindi – vivere in Giappone per uno straniero non è semplicissimo, prima di tutto per la complessa lingua (bene o male sono riuscito ad imparare a parlarla, ma leggerla rimane molto difficile!), e più in generale perché integrarsi nel Paese è difficile: i giapponesi sono persone amichevoli e aperti con i turisti, ma entrare a far parte della loro società e integrarsi veramente è un’altra cosa, in questo caso ho notato maggiore chiusura». Insomma, Attilio era partito curioso di scoprire come si vive in Oriente rispetto all’Occidente, e dopo un anno e mezzo sintetizza: «Quando noti che in Giappone le basi profonde del modo di vivere di ciascuno sono così radicalmente diverse dalle nostre l’intera società appare completamente diversa: un paragone con il nostro mondo non è possibile, è semplicemente tutto molto diverso».

Tornando a parlare di lavoro, Attilio racconta di essere rimasto colpito dal modo in cui i ragazzi affrontano il passaggio tra l’università e il mondo del lavoro: «In Giappone c’è un periodo ben specifico per cercare lavoro, che è l’ultimo anno dell’università: a marzo le imprese si recano dagli studenti per spiegare cosa fanno e quali figure professionali cercano, da aprile a giugno vengono inviati i curricula, da agosto a settembre si effettuano i colloqui e da settembre si assume. In questo periodo gli studenti si dedicano completamente alla ricerca di un’occupazione: si laureano a marzo dell’anno dopo, e spesso ad aprile cominciano a lavorare. Si tratta di un approccio molto diverso da quello di noi occidentali».

A questo discorso si ricollega Attilio quando gli si pone la tradizionale domanda, se tornerà o no in Italia. «Ora – spiega – sto attraversando esattamente come tutti i ragazzi giapponesi il periodo della ricerca del lavoro, che mi occupa la maggior parte del tempo. Non ho ancora deciso se stabilirmi qua o no. Se e quando troverò delle buone opportunità lavorative valuterò il da farsi. Ho già vissuto in tre continenti diversi, perciò ormai non mi sento di dover stare da nessuna parte, ma anzi libero di andare dove ci sono più opportunità per il mio futuro, il che comprende ovviamente anche l’Italia. L’importante è che io riesca a fare un lavoro che mi piace. Ora come ora l’Italia non mi manca troppo, perché sto facendo qualcosa che mi piace e che volevo ardentemente fare. Poi, ovviamente, famiglia, amici, piatti tipici (soprattutto polenta e coniglio!) e molte cose del proprio Paese mancano. Di Bergamo, in particolare, mi mancano le Mura e Porta San Giacomo, che vedevo dalla finestra della mia classe al S. Alessandro: ogni volta che rientro torno volentieri in Città Alta. In questo momento della mia vita, tuttavia, preferirei non tornare in Italia, ma piuttosto andare in un altro Paese, perché ho la sensazione che se ritornassi non ripartirei più».

«Una cosa che ho capito dell’Italia – conclude Attilio – è che la sua bellezza è ovunque. Non mi riferisco solo ai monumenti storici, ma agli edifici e alle città in generale. È vero, qua in Giappone ci sono templi bellissimi e grattaceli mozzafiato, ma poi quando ti ritrovi a camminare per una strada qualunque, beh, il panorama è ben diverso. Spesso noi italiani non ci accorgiamo di questo, ma l’Italia è bella ovunque».

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