Bergamo senza confini / Valle Brembana
Sabato 14 Giugno 2014
Da Santa Caterina a Shanghai
È direttore finanziario per Gucci
di Fabiana Tinaglia
Vivere in una delle città più grandi, frenetiche, moderne del mondo lo inebria. Giacomo Carminati, 36 anni, direttore finanziario per la Cina della griffe Gucci, è partito dall’acciottolato di Santa Caterina.
di Fabiana Tinaglia
Vivere in una delle città più grandi, frenetiche, moderne del mondo lo inebria. Scoprirne gli eccessi e le incongruenze gli piace alla follia. Ma ogni tanto, in quel mondo di lusso e di alta moda che si trova ad amministrare, si ferma un attimo. Guarda fuori dal suo grattacielo, un orizzonte di luce e rumore, e pensa a quel borgo antico in cui è cresciuto, imparando a cavarsela ben presto da solo. Borgo Santa Caterina è il quartiere che Giacomo Carminati non dimentica, neppure da Shanghai. Non l’aveva dimenticato a Parigi e in giro per il mondo, e ora più che mai, ora che ha una base fissa in Oriente, direttore finanziario per la Cina per la casa di moda Gucci.
E allora da Shanghai Giacomo pensa alla sua via acciottolata, allo stadio vicino con l’Atalanta che gioca, e il piccolo paese di Brembilla gli stringe un po’ il cuore, perché gli ricorda lui bambino con i nonni. Ora ha 36 anni, una moglie milanese che l’ha seguito dall’altra parte del mondo, e un passaporto con una buona collezione di timbri.
A Shanghai ci vive da quasi un anno, direttore finanziario per Gucci, ma la sua vita da «emigrante» è iniziata subito dopo la laurea in Economia e Commercio. «Finita la Bocconi mi si è subito profilata la possibilità di lavorare all’estero per Italcementi – racconta –. Così mi sono trasferito per tre anni a Parigi». Il ruolo, internal auditor, non è facile da spiegare: «Valutare l’adeguatezza, l’affidabilità e la funzionalità dei sistemi, dei processi e delle strutture organizzative in rapporto agli obiettivi aziendali» dice e continua: «Fine ultimo è quello di migliorare l’efficacia e l’efficienza aziendale: più difficile da spiegare che da fare – sorride via Skype modesto –. Oltre alla base di Parigi, mi spostavo nelle diverse filiali dell’azienda bergamasca, in Europa, ma anche in Asia e Nord Africa».
Poi casualmente Giacomo finisce nel mondo della moda: «Dal cemento alle borse di lusso – ride –. E per una coincidenza: mi ha contattato un altro bergamasco e io per curiosità sono finito a fare il colloquio». Che è un successo: «Mi trasferisco a Firenze, qui avevo la base e il mio ruolo era sempre legato al controllo interno e alla gestione del rischio: viaggiavo parecchio tra le realtà produttive che Gucci ha in Italia e quelle retail in tutto il mondo».
Sempre controllo amministrativo, sempre gestione dei rischi imprenditoriali: «A Firenze vivevo con mia moglie, originaria di Milano e conosciuta a Parigi dove si era trasferita temporaneamente per redigere la sua tesi. Spesso raggiungevo Bergamo: ammetto che facevo combaciare i weekend a casa con le partite dell’Atalanta in città». Perché la squadra nerazzurra è la grande «debolezza» di Giacomo, una passione vera, quella che si coltiva da bambini con la sciarpa al collo e la bandiera in mano, accompagnato sulle gradinate dal papà fin da piccino: «E ora guardo il sito de “L’Eco di Bergamo” e mi aggiorno sui risultati, con il fuso orario che mi fa fare le levatacce». Poi rivela: «L’Atalanta ce l’ho un po’ anche a Shanghai: in ufficio ho lo stemmino e una maglia incorniciata, regalo di mia moglie».
In Cina Giacomo ci è arrivato lo scorso anno: «Una proposta inaspettata: diventare direttore finanziario per la Cina per Gucci». Grande soddisfazione, grande responsabilità: «Tanto lavoro se si pensa che per Gucci la Cina è uno dei mercati più importanti al mondo – spiega –. Quasi un cliente su tre, nel mondo del lusso, ormai è cinese e io qui mi muovo tra Shanghai, dove ho il mio ufficio, i nostri negozi e le città dove stiamo valutando nuove aperture». Tra business plan, investimenti e controllo di gestione: «Solo in Cina abbiamo oltre 60 boutique, e ora che la crescita del mercato del lusso non è più a doppia cifra come nel recente passato, diventa ancora più importante essere selettivi e individuare con anticipo quei nuovi progetti che abbiano potenziale e siano adeguati al posizionamento del brand Gucci».
E tra numeri e proiezioni Giacomo e sua moglie si stanno ambientando: «Ai grandi contrasti, all’innovazione che sembra stridere con una radicata tradizione. Siamo affascinati da questo mondo che va così veloce da far girare la testa». Così Giacomo ogni tanto mette «in pausa» quella vita tutta di viaggi, riunioni e progetti, nuove collezioni che si rincorrono, nuove it-bag che fanno impazzire le donne di tutto il mondo. E pensa: «Agli affetti e alle amicizie, prima di tutto. Ma anche ai luoghi: il Sentierone, piazza Vecchia, via XX Settembre». E poi ci sono i sapori: «A Shanghai si trova di tutto, devo ammetterlo, ma sul genuino si fa fatica: il prodotto fresco, dato che tutto è importato, è alquanto difficile da reperire con la certezza che sia anche sicuro». Un panino al salame, per esempio, i formaggi bergamaschi: «Quelli fatti in baita, che voglia… Per la polenta invece mi sono organizzato e il paiolo me lo porto ovunque io vada».
Tutto questo mentre Shanghai «è ancora una città da scoprire, che ti assorbe e un po’ fagocita».
Ma la fortuna di un lavoro nella moda non è proprio da tutti: «Sicuramente, soprattutto perché Gucci è espressione di Made in Italy, di tradizione, artigianalità e alta qualità. E lavorare per questa griffe mi rende ancora più italiano in un Paese straniero». E così lontano: «Per fortuna ci sono Internet, Skype, Facebook. Famiglia e Atalanta così sono più vicine». E tornare a Bergamo? Tra le luci e i clacson, in quel trambusto, Giacomo un sorriso lo fa: «Penso che tornerò, prima a poi, ma non adesso. Ora ho tutta una città immensa e bellissima da scoprire. Magari se l’Atalanta vincesse lo scudetto…».
Perché «Bergamo senza confini»
Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della Comunità Bergamasca.
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