Bergamo senza confini / Valle Seriana
Domenica 03 Settembre 2017
Da Olera a Parigi
filosofa della Sorbona
A Parigi, tra Montmartre e il quartiere di South Pigalle, si trova il bar enoteca Sparks, un tempo antica libreria che con il suo stile della Belle Époque, i vetri fumé, i tavoli in marmo e le lampade Tiffany fa tornare gli avventori indietro nel tempo. Il proprietario è Leonardo, un architetto romano, ma a gestire il tutto negli ultimi due anni è la bergamasca Hilary Baitelli, 32 anni, di Olera. «Di giorno studiavo alla Sorbona, di sera fino alle due di notte ero qui. A ottobre dello scorso anno ho discusso la tesi in Filosofia Estetica, ottenendo il voto più alto della mia classe: mi hanno proposto un dottorato, ma non credo che accetterò. Sto preparando il concorso per insegnare filosofia nei licei: è molto difficile, ma voglio tentarlo».
Hilary, che dopo il Liceo linguistico Falcone a Bergamo ha frequentato la Facoltà di Filosofia (triennale e specialistica) a Milano, in Francia era già stata per sei mesi durante il primo anno di specialistica, a Clermond Ferrand. Subito dopo quest’esperienza, studia per ottenere il Dalf, il diploma necessario per accedere alla Sorbona: il suo sogno. Un sogno che è stato reso possibile grazie all’incontro fortuito, nell’agosto 2013, con una signora francese: «Ho sempre lavorato durante gli studi universitari – racconta –. Lavoravo come commessa alla libreria Mondadori in Piazza Duomo a Milano, per fare l’Erasmus avevo preso sei mesi di aspettativa. È stato lì, vendendo due libri d’infanzia a una signora francese attiva nel settore immobiliare, che parlando del più e del meno, mi ha raccontato che stava cercando un’assistente. Il giorno dopo ho inviato il mio curriculum. Ho fatto una formazione a distanza, sono andata un paio di volte a Parigi e poi mi ci sono trasferita a dicembre del 2013». Un salto nel vuoto: Hilary lascia un contratto a tempo indeterminato e una convivenza per inseguire il suo sogno.
Per sei mesi lavora nel settore immobiliare e nel frattempo prepara il dossier per poter essere ammessa alla Sorbona: «In Francia vi è una lunga tradizione filosofica. Alla Sorbona c’è una Facoltà di Estetica molto nota». A luglio 2014, la doccia fredda: viene licenziata. Ma a questa notizia ne segue una buona: è stata ammessa alla Sorbona. Ed è proprio in questo momento che decide di lavorare nella ristorazione, per gestire al meglio gli studi: «Trovo lavoro allo Sparks, un bar enoteca gestito da un architetto romano, che si ritira quasi subito lasciandomi la gestione completa del locale. Per due anni di giorno frequento le lezioni e di sera lavoro fino alle due di notte». Trenta ore a settimana, con uno stipendio superiore rispetto a quello percepito in Italia: «In libreria dopo sette anni di lavoro, ero ancora commessa. Lavoravo 40 ore a settimana, con un giorno di riposo, senza prospettive future. Venire all’estero per me ha significato potermi costruire qualcosa che in Italia non mi era concesso». Non sono mancate anche le difficoltà : «Il lavoro si trova abbastanza facilmente. Il problema principale è l’alloggio – prosegue Hilary –. Solitamente per poter prendere una casa in affitto è necessario avere un contratto a tempo indeterminato, per legge bisogna guadagnare una cifra che deve essere tre volte tanto quella richiesta per l’affitto e ci vuole un garante francese e che deve avere un legame di parentela con il locatario. Il primo appartamento in cui ho vissuto sono riuscita a trovarlo poiché lavoravo nel settore immobiliare; quello in cui sono ora è della zia di un mio amico. Molti giovani italiani rientrano in Italia proprio per questa problematica».
Hilary ora vive nel quartiere Pigalle: dal suo balcone fiorito si intravede il Moulin Rouge e in due fermate di metro arriva al lavoro. «A Parigi, ogni quartiere è un piccolo villaggio, ha la sua anima, il suo linguaggio. Prima abitavo a Pompidou, una zona chic, un quartiere freddo. Poi ho abitato con una ragazza di Hong Kong a Montmartre e da lì mi sono spostata tra Montmartre e Pigalle. Pigalle è un quartiere più giovanile».
E sugli aspetti positivi della vita parigina aggiunge: «Adoro stare qui, mi piace la politesse, l’educazione dei francesi. Sono più freddi rispetto agli italiani, ma educati: quando si entra in un negozio si viene sempre accolti con un buongiorno e con un sorriso. La burocrazia è lunga, ma funziona, appena si arriva vengono elencati diritti e doveri, mentre in Italia i diritti ci sono, ma bisogna cercarli da soli. Qui pago 300 euro in meno di affitto: lo Stato aiuta se lo stipendio non arriva a una certa cifra. Per un anno ho anche avuto le visite mediche gratuite. In Italia è tutto mutuabile, qui il 60% viene garantito dallo Stato e di ciò che resta metà viene pagata dal datore di lavoro».
Il 13 novembre 2015, il giorno dell’attentato terroristico al Bataclan, per Hilary è stata una delle notti più difficili della sua vita: «È successo a un chilometro dallo Sparks. Ero da sola a gestire il locale, le luci nel quartiere erano spente, sparavano nei bar. Ho abbassato la serranda e mi sono chiusa dentro insieme ai clienti. Abbiamo cercato un taxi, decidendo poi di rientrare in metro. Arrivata a casa, sono stata travolta da una sensazione assurda, cercando di avere notizie degli amici. I parigini sono molto forti, hanno un senso civico molto alto e hanno reagito con dignità all’accaduto. Il bar è rimasto chiuso per due giorni, ma la settimana successiva la terrazza era piena, come per dire ai terroristi che non sarebbero riusciti a toglier loro questo stile di vita. Non la si deve dar vinta al terrorismo: reagire con la paura sarebbe fare il loro gioco».
A Hilary dell’Italia mancano soprattutto gli affetti, ma per il momento l’intenzione è di restare, continuando a gestire lo Sparks e tentare il concorso per insegnare filosofia nei licei: «Sono un po’ una nomade: fino a sei anni ho vissuto all’Isola d’Elba, poi ad Olera, a Milano ed infine qui in Francia. Se dovessi rientrare, sceglierei Milano, dove ho vissuto gli ultimi dieci anni. Adoro sia l’Italia sia la Francia, ma mi sento europea. E qui a Parigi si percepisce davvero un respiro internazionale».
Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected]
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