Bergamo senza confini / Bergamo Città
Domenica 02 Agosto 2015
Con l’Erasmus porte aperte
dall’archistar di Madrid
Tommaso Campiotti da 4 anni vive e lavora in Spagna. Collabora con Campo Baeza, l’«architetto della luce». «Professionisti decimati anche qui, ma vincono le idee».
Ha sempre avuto una grande passione per le materie scientifiche. Forse perché nelle leggi della matematica e della fisica vi ha riconosciuto un ordine esistente, un’armonia. Negli anni, chiedendosi in che modo l’uomo potesse ricrearla in modo pratico ed essenziale nel contesto quotidiano, ha trovato la risposta nell’architettura, che definisce «un’opera d’arte tecnica complessa, una continua ricerca della bellezza». Il giovane 1988 Tommaso Campiotti è nato a Segrate e all’età di 8 anni si è trasferito con i genitori veterinari a Brusaporto. Prima le scuole nella provincia bergamasca, poi il Politecnico a Milano.
Da circa quattro anni Madrid è diventata la sua casa: all’Università Politecnica della capitale spagnola sta svolgendo un dottorato di ricerca unito ad attività didattica, e lavora part-time nello studio di Alberto Campo Baeza, un grande architetto e teorico delle costruzioni di livello internazionale, conosciuto come l’«architetto della luce». Tra le sue opere maggiori i lavori per la famiglia Benetton e il bellissimo Museo de Andalusia (MA) a Granada.
«Durante il corso in architettura al Politecnico di Milano, ho scelto di fare un anno di Erasmus alla Escuela Técnica Superior de Arquitectura – racconta Tommaso –. Qui ho conosciuto il professor Campo Baeza che è stato poi direttore della mia tesi di laurea e mi ha proposto di fare il dottorato, al quale ho avuto accesso dopo un anno di master. Attualmente sto svolgendo una tesi di ricerca sull’architetto milanese Gio Ponti, continuando un percorso sull’architettura italiana iniziato negli anni precedenti. Sto studiando la nostra cultura da un punto di vista diverso; qui il metodo di studio contempla un’intensa fase di progettazione: ho svolto più progetti durante l’ultimo anno che nei quattro passati in Italia».
Le mattine, invece, le passa nello studio di Baeza: «Pur essendo ampiamente conosciuto è molto piccolo. Siamo in sei. Lavoro part-time sulla fase di progettazione e revisione, occupandomi dei modelli di forma o maquette e disegnando in autocad. In Campo Baeza ho trovato un maestro. Fin dal primo incontro all’Università, sono rimasto affascinato dalla sua visione di architettura pensata per l’uomo. Non avevo mai trovato nessuno in questo campo che ponesse la bellezza tra gli elementi fondanti di un edificio. Madrid ha avuto un boom delle costruzioni negli anni ‘90. Ora molti studi hanno chiuso e altri con un centinaio di dipendenti ne hanno poche unità. Nonostante il contesto economico sia da tempo sfavorevole, ho ricevuto la grazia di poter lavorare con lui e imparare tantissimo».
Tommaso si dedica anche all’insegnamento: «Faccio l’assistente all’Università in un’unità docenti diretta dallo stesso Baeza. All’inizio mi spaventava, col tempo ho capito quanto si possa crescere attraverso il confronto con professori e studenti». Conoscendo più a fondo la poetica costruttiva di Baeza, le sue strutture appaiono pure, essenziali; alcuni media lo hanno definito un’archistar, un neologismo per indicare un architetto «mediatico» che porta nelle sue opere una certa dose di spettacolarizzazione: «In questa accezione il termine è fuorviante – dice Tommaso –. Per lui l’architettura è idea che si esprime attraverso le forme. È idea costruita che dialoga e lavora su elementi primari come luce e gravità. Dal punto di vista tecnico gli piace ricordare i fondamenti tramandati dal latino Vitruvio: solidità, utilità e quel fine ultimo misterioso, ma concreto, che è la bellezza o “splendore del vero”, come disse Platone».
«La ragione – continua Tommaso – è il primo strumento di lavoro di un architetto: la precisione delle dimensioni e l’efficienza delle proporzioni si uniscono alla capacità dell’architettura di commuovere. Baeza va fino in fondo, pensando a edifici fatti per l’uomo. Nel circuito mediatico, viene spesso anche definito come “l’architetto della luce”, ma lui dice sempre che la luce la usa, ed è di tutti».
Tommaso racconta poi della vita di tutti i giorni nella capitale spagnola: «Madrid è una città molto giovane, moderna, contemporanea. Si vive bene. Rispetto in pieno il ritmo di vita spagnolo: pranzo alle 15 e cena alle 22. Ci sono abituato. Fin dall’Erasmus la frequentazione di spagnoli mi ha aiutato molto nell’apprendimento della lingua. Vivo in un appartamento con altre 7 persone, spagnoli e italiani, in una zona molto tranquilla non lontana dal centro chiamata Moncloa, vicino al parco Oeste. Non è una semplice base per dormire, ma una vera e propria casa: ceniamo tutti insieme, condividiamo la quotidianità».
Visti i numerosi impegni, il suo tempo libero è ridotto al minimo: «Ultimamente, mi diverto a giocare a calcio oppure a beach volley nella zona universitaria, ma allo sport preferisco la musica. Suono la chitarra e con gli amici ci facciamo delle grandi cantate. Si eseguono canzoni di musica italiana (mi piace moltissimo Gaber), per poi variare verso quelle spagnole, irlandesi, spirituals fino ai canti alpini a più voci. Canto in un coro polifonico qui a Madrid, a continuazione di un’esperienza iniziata qualche anno fa a Milano prima nel coro alpino del Politecnico e poi nel coro Cet».
«Ho anche una certa passione per il cibo – ammette Tommaso –, alimentata da un amico spagnolo che mi porta a conoscere ottimi ristoranti tipici. I madrileni mi hanno “educato” alla coda di toro, io lo sto facendo con la polenta, che qui non esiste».
Un pensiero va al mondo di relazioni e luoghi lasciati in Italia: «Vivevo a Brusaporto, che però non ho mai frequentato molto. Dopo le scuole elementari a Scanzorosciate, ho frequentato le medie e il liceo scientifico “La Traccia” di Calcinate: lì ho trovato amici provenienti da varie parti della provincia bergamasca. Poi sono partito alla volta di Milano. Ci ho vissuto per qualche anno e mi sono affezionato, girandola in lungo e in largo con la bicicletta. Ultimamente ci torno spesso, in veste di assistente di Ignacio Vicens, un visiting professor che seguo una volta al mese durante le sue lezioni al Politecnico. Ogni volta è un piacere ritrovare la mia famiglia. C’è sempre una scusa per tornare, ultimamente ci sono i matrimoni di alcuni amici. Il rapporto non viene meno per questioni di distanza, anzi, con alcuni è diventato più profondo perché si ha meno tempo per stare insieme e si bada alle cose importanti. In Spagna ho avuto la grande fortuna di aver conosciuto dei nuovi amici. Contare su di loro, confrontarti, stare insieme di fronte alla realtà: é una cosa bella e un grande aiuto per il quale non posso fare a meno di ringraziare».
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