«Addio a ufficio e pc
Ristorante in Tennessee»

Si dice che ogni viaggio si viva tre volte: quando lo si sogna, quando lo si effettua e quando lo si ricorda. E poi ci sono viaggi che regalano una seconda esistenza, perché innescano meccanismi in grado di scombussolare l’ordine preesistente.

Paesaggi e odori che, come tarli, si insinuano nella quotidianità, ridisegnando intere biografie. È andata più o meno così per Giampaolo Ongaro, 50 anni, e la moglie, Yvette Donini, che fino a tre anni fa abitavano a Seriate. Nel 2003 si sposano e scelgono Maui - la seconda isola per estensione nell’arcipelago delle Hawaii - come destinazione della luna di miele: ne restano folgorati, al punto che da quel momento in poi la eleggono a meta fissa per le loro vacanze di agosto («Basta prenotare a gennaio per trovare voli e appartamenti a prezzi abbordabili», puntualizza Giampaolo).

Passano gli anni: nascono due figlie, Lucrezia e Azzurra, e i coniugi Ongaro continuano a lavorare rispettivamente a Milano e Bergamo, lui come Ict manager, lei in ABB. Però quel tarlo non li abbandona. Desiderano che le loro figlie diventino cittadine del mondo: le iscrivono alla scuola svizzera, sperando che prima o poi si presenti l’occasione per poter trasformare questa aspirazione in realtà. Così, quando nel 2013 Yvette riceve la proposta da parte della sua azienda di trasferirsi negli Stati Uniti, non hanno dubbi: tre mesi dopo sono già nella nuova casa di Collierville, area metropolitana di Memphis, Tennessee. («Abbiamo faticato un po’ a trovarne una “piccola”, di 180 metri quadri: qui le metrature sono pazzesche!», raccontano).

Una città che è simbolo della musica nel mondo: è la culla del blues, del gospel e del rock and roll, e ha dato i natali a B.B. King, Johnny Cash, Aretha Franklin, Tina Turner e, ovviamente, a Elvis. «Confesso di non aver ancora visitato Graceland, l’enorme magione in cui visse Presley, ormai trasformata in un museo e meta di pellegrinaggi da parte di fan provenienti da tutto il mondo (basti pensare che è la seconda residenza più visitata degli Usa: la prima è la Casa Bianca, dimora del presidente, ndr). Ma a Memphis si respira musica ovunque: è piena di locali dove ogni sera fanno blues dal vivo».

E di locali Giampaolo se ne intende, poiché per la sua vita a stelle e strisce ha deciso di abbandonare i computer e buttarsi nella ristorazione. «L’idea mi venne a Maui, mentre preparavo una maxi spaghettata per amici di tante nazionalità diverse: mentre saltavo la pasta ho realizzato che qui i ristoranti italiani o sono molto chic e costosi, o sono stile fast food. Mancava, quindi, il corrispettivo della nostra trattoria: un posto dove si mangi bene, spendendo cifre modiche. Si tratta del settore “fast casual” e, parlando in termini di analisi di mercato, è anche quello che sta crescendo maggiormente: non serve avere uno chef e sono bandite materie prime surgelate, sostituite da prodotti freschi e locali. Ho passato il mio primo anno in Tennessee a fare il “mammo” e, nei ritagli di tempo, rifinivo il business plan: così, a luglio 2015, ho inaugurato il mio ristorante, battezzato “Crazy Italians”. Il motto? “Fast, good and authentic” (veloce, buono e autentico, ndr). Insomma: cuciniamo italiano per davvero, rifuggendo gli stereotipi tanto cari agli americani, come le tovaglie a quadrettini o le lasagne con il pollo. Mi sono dato una regola: non mi adeguerò mai ai loro gusti, perché non voglio tradire i sapori tricolori».

Una formula che sembra aver convinto gli abitanti della zona, che lasciano commenti entusiastici anche sulla pagina Facebook del ristorante. «Molti clienti sono italiani di seconda o terza generazione. Poi ci sono americani che sono stati in vacanza nel Belpaese e mi ringraziano perché, finalmente, riescono ad assaggiare lo stesso ragù. I piatti più richiesti? Le lasagne, la carbonara e il tiramisù. Quando qualcuno mi chiede le fettuccine Alfredo (al burro, con aggiunta di panna, ndr) o “mac and cheese” (maccheroncini affogati in una besciamella di salsa cheddar, ndr) spiego che quelli non sono piatti della nostra tradizione. Il mio obiettivo, ora, è riuscire a dare vita a una piccola catena: sto già cercando di capire dove sia meglio aprire il secondo locale».

A parte le richieste bizzarre a tavola, Giampaolo confessa di essere entusiasta degli americani. «Al Sud sono molto conservatori, ancorati a saldi principi. Mi colpisce la professionalità con cui affrontano qualsiasi cosa: dal lavoro, all’allestimento della recita scolastica. Sono dei veri stakanovisti: le donne, ad esempio, sono dietro alla scrivania fino al giorno prima del parto. Nessuno si piange addosso perché la loro società è profondamente equa, basata su un successo democratico: se ti impegni, ce la farai certamente. Non esiste l’idea del “tanto ci pensa lo Stato”: la gente è abituata a rimboccarsi le maniche e adoperarsi continuamente in raccolte fondi per le cause in cui crede. E se qualcuno diventa ricco ripaga la propria comunità con donazioni importanti. Ci mettono un po’ a dare confidenza, ma poi si innesca un senso di alleanza profondo: tutti aiutano tutti, perché darsi una mano è visto come una missione. Inoltre, si percepisce una grande positività: qui capisci che “volere è potere”. Del resto, l’ho vissuto sulla mia pelle: in Italia non avevo grandi prospettive di crescita, mentre gli Stati Uniti mi hanno regalato la possibilità di sognare».

Ma un difetto grande il Tennessee ce l’ha: «Non si può sciare – dice sorridendo –. Per trovare delle piste dovrei andare ad Aspen, in Colorado, ma i prezzi sono così folli che mi costa meno prendere l’aereo e tornare sul Pora!». E poi, certo, ora, Maui è più vicina: «Perché, lo ammetto, non ho ben chiaro cosa ne sarà del nostro futuro, ma un sogno nel cassetto ce l’ho: aprire a Maui il mio quinto ristorante, alternando le serate ai fornelli alle mattinate sul windsurf. Le Hawaii sono il mio obiettivo finale».

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