A Chicago nell’ateneo di Fermi
«Gli Usa? Li ho vinti alla lotteria»

di Elena Catalfamo

Dirige l’Istituto di diagnostica pre-clinica dell’Università di Chicago (Illinois), quella per intenderci in cui un altro italiano, Enrico Fermi, sperimentò la sua prima reazione a catena di fissione nucleare controllata nel 1942.

Dirige l’Istituto di diagnostica pre-clinica dell’Università di Chicago (Illinois), quella per intenderci in cui un altro italiano, Enrico Fermi, sperimentò la sua prima reazione a catena di fissione nucleare controllata nel 1942. E se le si chiede com’è riuscita a entrare in uno dei primi dieci atenei più prestigiosi al mondo, lei risponde: «Perché ho vinto la lotteria». E non è uno scherzo, ma non parla dell’estrazione di un biglietto multi milionario.

Lara Leoni, 44 anni, originaria di Cologno al Serio, è approdata negli Stati Uniti nel 1997. Per amore e con un semplice visto turistico di tre mesi. Il tempo sufficiente però per mettersi in contatto con un docente italiano, Mauro Ferrari, all’Università di Berkeley, e iniziare a collaborare con il centro di ricerca dell’ateneo forte di una laurea in Scienze biologiche all’Università Statale di Milano. La storia d’amore è finita e il permesso scaduto. Lara è rientrata in Italia, ma nel frattempo aveva tentato la fortuna della lotteria americana della «Green Card». Non una pioggia di dollari, ma un permesso di soggiorno per gli Stati Uniti.

«Ogni anno gli stranieri che vorrebbero vivere negli Stati Uniti - racconta via Skype dalla sua casa a Des Plaines vicino a Chicago - possono presentare domanda per partecipare all’estrazione di una “Green Card”, la carta di soggiorno, che ti dà diritto a lavorare e accedere ai servizi degli americani, tranne il diritto di voto. Per fare richiesta devi rispondere ad alcuni criteri: un titolo di studio di scuola superiore, buona salute, conoscenza della lingua inglese. Poi però partecipi a una vera e propria estrazione, una lotteria, in cui si vince o si perde». E il caso o il destino ha voluto che Lara strappasse il biglietto vincente. «Ho sostenuto il colloquio al Consolato americano a Napoli - ricorda -, ho superato il test linguistico e nel marzo del ’99 sono ripartita».

Il docente californiano la mette in contatto con una collega dell’Illinois e così Lara inizia a muovere i suoi primi passi nel mondo accademico americano. A Chicago consegue un dottorato in Ingegneria biomedica all’Università dell’Illinois sviluppando una ricerca sul pancreas bio artificiale per la cura del diabete.

Da lì il salto alla prestigiosa Università di Chicago, quella al cui ingresso gli americani celebrano con una targa un italiano illustre, Enrico Fermi, che lì sperimentò la sua prima reazione a catena di fissione nucleare controllata. Oggi dopo 15 anni Lara dirige l’Istituto di diagnostica pre-clinica in uno degli atenei più conosciuti al mondo per la sperimentazione di nuove terapie per combattere innumerevoli malattie. Con lei uno staff di sette persone provenienti da tutto il mondo e 15 consulenti che producono analisi per l’ateneo, ma anche per case farmaceutiche e compagnie private.

«Non mi sento un cervello in fuga - spiega - perché in realtà non sono partita con l’idea di restare. Poi la vita accade: mi sono sposata qui con Dragoslav, di origine serba, fuggito da Belgrado durante i bombardamenti Nato; abbiamo due figli, Marina, di 9 anni e Marco, di 6 anni, e anche se ci siamo sempre detti che forse saremmo rientrati in Europa prima che i bimbi iniziassero la scuola, ora li vediamo inseriti qui e tutto diventa più difficile. Insomma stiamo già pensando a mettere via i soldi per permettere loro di frequentare l’università come fanno tutte le buone famiglie americane».

Gli Stati Uniti però restano un terreno fertile per chi fa ricerca. «Un mio professore di Milano ci diceva sempre che in Italia non manca nulla per fare ricerca solo che lì si fa gratis e qui no - spiega -. In Italia si faceva la tesi di ricerca gratis che poi andava a nutrire le pubblicazioni del tuo prof. Magari vincevi un misero assegno di ricerca per qualche anno con cui non potevi certo pensare di mantenere una famiglia, e tra i miei compagni di studio solo uno alla fine ha ottenuto la cattedra. Qui è tutto molto diverso: anche mentre facevo il dottorato avevo un impiego in laboratorio retribuito e l’ateneo copriva i miei studi. Questo è possibile perché s’investe sulla ricerca: non solo il governo federale, ma anche le fondazioni e gli ex studenti partecipano al sostegno dell’università in modo significativo».

«La mobilità dei docenti è altissima - dice ancora ripercorrendo le varie tappe della sua carriera -: gli atenei si contendono i migliori ricercatori offrendo soldi e mezzi per la ricerca. Siamo molto lontani dal concetto di “cattedra” fissa e inamovibile che c’è in Italia. Devo dire però che la crisi si sente anche qui. I nostri ricercatori cinesi per esempio stanno rientrando nel loro Paese perché gli vengono offerte possibilità maggiori. Uno studio ritiene che tra 40 anni il polo della ricerca internazionale sarà proprio la Cina».

«Ironia di questo Paese - osserva ancora Lara - è che è uno dei più avanzati come ricerca e possibilità di sperimentazione, ma allo stesso tempo le cure mediche e le terapie più innovative sono accessibili solo a chi ha un’assicurazione sanitaria adeguata». A Bergamo per il momento non pensa di tornare, ma questo non vuol dire che non le manchi. «Quello che mi manca di più qui è la dimensione del paese – spiega – e il fatto di non riuscire a donare ai miei figli quel senso di comunità famigliare e sociale che invece in Italia si respira ancora. Crescono lontani dai nonni paterni, dagli zii e dai cugini, e per esempio qui non esiste l’oratorio in cui trovarsi, andare a giocare. Mi piace che crescano in un melting pot culturale, conoscano altre lingue e abitudini, ma mi dispiace che non sentano la forza di far parte di una rete sociale tipica invece della Bergamasca».

IL PROGETTO BERGAMO SENZA CONFINI

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