Bergamo senza confini / Isola e Valle San Martino
Domenica 13 Novembre 2016
A 34 anni chef del «Reina»
ristorante vip di Istanbul
C’è chi teme anche solo il pensiero di un cambiamento e chi invece la storia se la cuce addosso perché la scelta l’ha fatta molto tempo fa, ed era quella giusta. «Se vuoi fare carriera nel mio settore non puoi fermarti più di due o tre anni nello stesso posto» e Matteo Bertuletti, 34 anni di Palazzago, è oggi l’Executive Chef del «Reina», il locale più famoso di Istanbul con vista mozzafiato sul Bosforo. Città dai tanti volti, alcuni molto cupi, come il recente tentativo di golpe di Stato del 15 luglio scorso.
«La scelta di Istanbul è stata dettata dall’amore. Mia moglie è turca, ci siamo conosciuti a Londra e dopo la nascita di nostro figlio Leon, abbiamo deciso di stabilirci qui. È una città di 20 milioni di abitanti in un Paese che negli ultimi 10 anni ha vissuto un boom economico incredibile, portandosi dietro contraddizioni forti, fragilità politica, ma anche traguardi positivi, come la costruzione di nuove importanti infrastrutture. È chiaro, speri sempre di non essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il “Reina” è proprio sotto il ponte che è stato ripreso da tutti i media la notte del tentato golpe. Io ero lì e ho visto. Oggi però si vive come se non fosse successo nulla, a parte gli effetti rovinosi che ha avuto sul turismo che si è paralizzato».
Il percorso di Matteo è segnato da molte tappe e l’inizio è comune a tanti: «Dopo il diploma all’Istituto alberghiero di San Pellegrino, ho girato l’Italia con uno dei fondatori della scuola il cavalier Fiorenzo Baroni, sperimentando un nuovo tipo di cucina e diversi metodi di cottura. Poi sono approdato al Marriott di Milano: hotel 5 stelle con ristorante aperto 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Ho iniziato come apprendista e in tre anni e mezzo mi hanno promosso aiuto cuoco responsabile degli antipasti e dei primi piatti. Da lì mi sono poi spostato vicino a Santa Teresa di Gallura per lavorare come “Garde manger”, ovvero il responsabile di tutte le preparazioni del reparto freddo. Finita la stagione lo chef del Marriott, Andrea Saracco, mi ha richiamato per darmi un consiglio che ho deciso di seguire. Per fare carriera era indispensabile conoscere l’inglese, così sono volato a Londra per iniziare a lavorare al ristorante “Il Duca” vicino a Piccadilly Circus, con lo chef Umberto Vezzoli, che molti conoscono».
«Gli affitti a Londra erano proibitivi – ricorda – e, come molti giovani, mi sono trovato a condividere un appartamento. È in quella casa che ho conosciuto Pelin, mia moglie, che si era trasferita in Inghilterra per un Mba Master in business administration, dopo la laurea in Economia all’università di Torino».
Dopo un’altra parentesi estiva in Sardegna come Junior sous- chef, Matteo torna a Londra. «Ero alla ricerca di un hotel che mi aiutasse davvero a migliorare la lingua e dovevo evitare quindi i ristoranti da italiani. Alla fine mi hanno assunto al Soho Hotel, uno dei migliori boutique hotel di Londra, cinque stelle lusso. Una suite costava circa di 4.000 sterline a notte. Il mio inglese era ancora insufficiente e ho iniziato come capo partita, ma mi sono dato da fare e nel giro di un anno sono diventato Executive sous chef con 35 persone in cucina e il forno che si spegneva una volta ogni quattro mesi».
Un boutique hotel con clienti del calibro di Shakira, calciatori di tutte le nazionali, Rihanna, Red Hot Chill Peppers non sempre facili da gestire. «Ci sono rimasto cinque anni e con quel genere di clientela ne ho viste di tutti i colori, ma quando era necessario la direzione sapeva come muoversi. Ricordo che ci hanno messo cinque minuti a mettere fuori dalla porta David Hasselhorf, la star di Baywatch perché aveva minacciato una cameriera in una delle sue giornate no a per i suoi problemi con l’alcool. Una band di fama internazionale ha letteralmente sfasciato tre camere e l’hotel ha ottenuto 150 mila sterline di rimborso per ogni camera. Dalla mia esperienza devo dire che soldi e autocontrollo spesso non vanno a braccetto».
A Londra, Matteo arriva al top, ma fermarsi nel suo lavoro non è contemplato. Si affida a un’agenzia di «head hunters», i «cacciatori di teste», che lo reclutano per un altro 5 stelle, il Radison Blue di Dubai come chef di cucina del ristorante «Certo», premiato sulla rivista internazionale «Time Out» come migliore ristorante della città.
«Pelin non era con me, era tornata in Turchia e nel 2011 ci siamo sposati a Palazzago, come nella migliore tradizione. Matrimonio misto nella chiesa parrocchiale con delega del vescovo e pranzo al ristorante poco distante. Poi di nuovo la stessa domanda. Adesso dove andiamo? L’Italia era in piena crisi economica, a Londra ci eravamo già stati, Dubai non era il posto per mettere su famiglia e abbiamo votato per Istanbul».
Un nuovo inizio per tutti, ma soprattutto per Matteo che, superato il problema dell’inglese, deve affrontate ora quello del turco. «Il primo impiego qui è stato per un uomo d’affari che voleva aprire una catena di centri fitness con caffè e ristorante annessi proponendo menù specifici per restare in forma. Lavoravo fianco a fianco con ingegneri e architetti, seguivo la progettazione, reclutavo il personale, creavo il menù e dopo due mesi dall’avvio, ne aprivamo un altro. Ho imparato molto, ma mi mancava la vera cucina. I clienti di queste struttura avevano una visione del cibo come “carburante” che è molto lontana dalla mia».
In due anni Matteo impara il turco e un altro investitore lo sceglie per aprire due ristoranti italiani. «Si partiva da zero, entravo in un posto e dovevo valutare i progetti, seguire i lavori e scegliere tutto il resto, persino le posate. È senza dubbio emozionante avere carta bianca e realizzare esattamente quello che hai in testa». Matteo nel 2015 risulta tra i primi cinque migliori chef della città, poi arriva la telefonata del Reina Group, un luogo incantevole, con cinque ristoranti. Tutte le persone importanti che arrivano a Istanbul, passano dal Reina, nessuno escluso. Sono l’Executive Chef dell’unico ristorante aperto tutto l’anno. Gli altri quattro sono in affitto e aprono solo per la stagione estiva. Devo dire che il livello di stress è decisamente alto, la clientela è a dir poco esigente, ma ci sono abituato e riesco a prendermi anche le mie belle soddisfazioni».
«Adesso – prosegue – il piano è quello di restare in questa città per qualche anno. Bergamo mi manca, all’inizio era più difficile, adesso la tecnologia aiuta e i miei genitori ci raggiungono qui ogni tre mesi per fare i nonni e noi torniamo tutte le volte che possiamo. Il nostro Leon questa estate ha frequentato il baby Cre della parrocchia e spero si sentirà palazzaghese, almeno un po’».
Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per sei mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].
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