L’incubo scommesse
e la lezione da imparare

Duemilatrentadue giorni, è durato il calcioscommesse dell’Atalanta. Dall’1 giugno 2011 al 22 dicembre 2016. In mezzo, siamo tutti forzatamente diventati esperti di intercettazioni, ordinanze, deferimenti, responsabilità oggettive e presunte, tribunali federali, Tnas, appelli, ricorsi, squalifiche talmente lunghe e modificate in corso d’opera che nemmeno più si capisce quando finiranno.

Di certo, adesso è finita per l’Atalanta. Resta da capire se l’accusa proporrà appello, ma l’aria che tira è chiara: non si andrebbe molto lontano, con questi elementi. Quindi, con ragionevole certezza si può dire: se il 1° giugno 2011 s’apriva la porta dell’inferno, il 22 dicembre 2016 quella porta si è chiusa. Quel che c’è stato in mezzo è la fotografia del nostro calcio pasticcione e inaffidabile. Al solito, la valanga ha travolto gli ultimi della fila e l’Atalanta ha finito per pagare più di tutti: questo è indiscutibile. Non ne fa una vittima a prescindere come tanti l’hanno dipinta per anni, perché quel che Doni ha fatto è scritto nei verbali. Però la storia è lì da leggere, e il capitolo di ieri ne è un epilogo evidente: nei tribunali del nostro calcio adesso spira un’aria diversa, diversissima rispetto a cinque anni fa. Sono cambiati i vertici federali, sono cambiati i vertici della Procura, c’è stato il caso eclatante di Antonio Conte a fare da spartiacque. Cinque anni fa Crotone-Atalanta molto probabilmente non sarebbe finita così, nei tribunali. Quindi, oggi diciamo che ci va bene.

Ma attenzione, perché alla fine della storia occorre tirarne le fila. E anche se oggi abbiamo il sorriso sulle labbra, quel che ne esce non è bello. Si è sporcata la storia di una squadra fedele ai valori della lealtà sportiva. Il calciatore più rappresentativo e certamente tra i più forti della nostra storia ha chiuso la sua carriera nel modo che sappiamo. Comunque sia finita, l’Atalanta ha dovuto scontare otto punti di penalizzazione, l’onta dei processi, un’immagine offuscata dai sospetti più bassi.

Adesso è finita, e quel che più conta è aver imparato la lezione, tanto più in una fase in cui i tribunali non usano più il bastone per la parola di uno contro quella di un altro, ma assolvono per insufficienza di prove. Tanto più in questo periodo di «buonismo», conta non ricascarci e aver imparato la lezione. E cioè: le partite si giocano sul campo e solo lì. Sulle partite, se si è coinvolti, non si scommette mai. Se si sa qualcosa, si denuncia. Per il resto, mettiamoci dietro le spalle questa lunga e tormentata vicenda. E magari Bergamo provi anche a far pace con Cristiano Doni. Non era un eroe, non era un criminale, non è un martire. Era un uomo che ha sbagliato, e ha pagato. Finirà anche per lui.

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