Fiore Mio
Paolo Cognetti nel suo debutto da regista, racconta il suo amore per la montagna attraverso un viaggio in uno dei suoi luoghi piĂą amati, il Monte Rosa. Appuntamento al Cinema del Borgo, in collaborazione con Lega Ambiente.
Proiezione preceduta da una breve introduzione e seguita da incontro-dibattito a cura di Legambiente Bergamo dal titolo “Quale montagna". Alla luce del legame profondo tra l'uomo e la montagna raccontato nel film, l'associazione propone una riflessione sulla situazione nelle Prealpi bergamasche, nel contesto dei cambiamenti climatici in atto. Come si conciliano con alcuni progetti di sviluppo sciistico portate avanti in alcuni territori?
Fiore Mio
Cognetti, insieme a Laki, il cane con cui si fanno reciproca compagnia, sale verso le quote piĂą alte del Monte Rosa spinto dal desiderio di comprendere per quale ragione non arrivi piĂą acqua nella casa in cui abita. Lungo il percorso incontra persone che conosce da tempo che raccontano quale senso abbia per loro il vivere in montagna.
Cognetti in questa prima totalmente personale ci mostra senza retorica una montagna che vive e tiene in vita.
C'è un'immagine che torna nel film ed è quella di una tazza che viene riempita d'acqua fino all'orlo. Non ci viene detto il perché ma non ha importanza. Ognuno può fornire la propria interpretazione così come fanno, a proposito del rapporto con la montagna, le persone che Cognetti incontra nel suo percorso a cui consente di parlare senza mai sovrapporsi con la propria visione. Quella ce l'ha già proposta nella sua opera letteraria. Qui prevale la disposizione all'ascolto che, non a caso, apre e chiude il film consentendo ai suoni della Natura di occupare tutto il campo uditivo.
Quella Natura che una credenza cittadina idealizza ritenendo che il Rosa si chiami così perché al tramonto le sue cime si tingono di quel colore mentre ci viene detto da subito che il termine deriva da un termine in lingua locale che significa ghiaccio. Quella Natura che Marta, un'amica che gestisce un rifugio vegano e che pratica yoga, vede come pronta a reagire, con i suoi tempi, allo scempio che l'umanità ne sta facendo.
Non ci sono le grandi imprese alpinistiche in questo film. Al massimo vengono evocate grazie a una foto o al distacco sapiente di Sete, che è stato uno sherpa, e ora fa il cuoco in un rifugio pur non avendo abbandonato del tutto il Nepal. C'è l'onesta ricerca di un linguaggio diverso da quello della letteratura che consenta allo scrittore di non parlare di sé come in fondo, seppure ogni volta con modalità diverse ha fatto nei libri, ma, appunto, di lasciare parlare gli altri con le loro convinzioni ma anche con le loro fragilità o desideri.
Un'anziana guida alpina gli rivela che quando sulle cime vedeva le orme di uno stambecco decideva di seguirle perché si trattava di una traccia sicura. Remigio, Arturo, Marta, Corinne, Mia, Sete sono per Cognetti gli stambecchi di cui seguire, più o meno a lungo, il percorso per trovare vie diverse che, in totale semplicità , aiutino a scoprire il senso che può avere per ognuno quello che Cognetti, prendendo in prestito le parole di Andrea Laszlo De Simone, definisce come "Fiore mio, fiore della mia anima”.