Cronaca / Bergamo Città
Mercoledì 10 Ottobre 2007
Philipp Bonhoeffer, da ultimo della classe a una carriera sfolgorante nella medicina
Sono sempre stato l’ultimo della classe, credo che l’immaginazione sia più importante dell’erudizione, anche se il professor Parenzan mi sgrida sempre, perché non leggo gli articoli scientifici. Però, se ho un’idea, non mi lascio scoraggiare e persevero finché non ho provato a realizzarla». Così, per «pura testardaggine» (come ha confessato ai ragazzi di BergamoScienza riuniti ad ascoltarlo al Centro Congressi Giovanni XXIII per iniziativa delle Cliniche Humanitas Gavazzeni) Philipp Bonhoeffer ha rivoluzionato la cardiochirurgia pediatrica mondiale, inventando la tecnica non invasiva del catetere che porta il suo nome e che permette di inserire nell’arteria polmonare, con la tecnica dello stent, una valvola tratta dalla giugulare di una mucca. Si evita l’intervento tradizionale a cuore aperto e in pochi giorni il paziente è a casa. Una lezione di vitaUna tecnica straordinaria, che il 44enne professore ha spiegato con semplicità, riuscendo a trasmettere una lezione scientifica e una lezione di vita. Cardiologo pediatrico non convenzionale, nella vita come nella professione, Bonhoeffer non ha la patente e predilige la bicicletta per sbrigarsela nel traffico di Londra, dove lavora al Great Hormond Street Hospital. Ama il violino, l’Africa («se sei egoista vacci, impari un sacco di cose»), la gente, gli ospedali italiani («perché sono puliti»). Del suo successo dice: «Ci sono riuscito perché l’ignoranza a volte protegge e io non sapevo che altri erano falliti prima».Il liuto o la medicina?La storia straordinaria di Philipp parte con un curriculum-che-non-c’è, quello dello studente modello. «Non avevo voti abbastanza buoni per accedere all’università di Medicina a Tubingen, dove sono nato – ha raccontato a studenti sempre più adoranti – ma diciott’anni l’unica idea chiara che avevo in testa – il resto era una gran confusione – era che volevo fare il medico. O forse il liutaio, ma non ero sicuro di avere le mani abbastanza abili. Così Medicina. Ma in Germania era impossibile. E poi ne avevo abbastanza della Germania e di tutto il resto. Mi piaceva l’idea di studiare in Italia, avevo girato il vostro Paese per estati intere, suonando il violino nelle piazze per pagarmi il viaggio. Purtroppo non sapevo l’italiano». Così Philipp arriva a Bergamo, a fare il baby sitter ai quattro ragazzi Parenzan: «Io dovevo imparare l’italiano e loro il tedesco. Non so se abbiano imparato il tedesco, però io mi sono divertito». Gli ospedali italiani«Philipp mangiava più di quel che parlava. Anche adesso», borbotta ironico Lucio Parenzan, che l’ha presentato al pubblico del Centro Congressi con gli occhi lucidi e deve ristabilire la sua fama di istriano tagliente. Perché quell’estate luminosa di venticinque anni, fa è nata un’amicizia che si è poi trasformata in un rapporto maestro-discepolo. «I Parenzan diventarono i miei genitori adottivi - ricorda il cardiologo che ha al suo attivo nove brevetti internazionali di bioingegneria nel campo della valvole cardiache -. Restai in Italia, mi iscrissi a Medicina all’Università di Milano e scoprii i cateteri cardiaci. Decisi che era quello che avrei fatto nella vita». Negli anni italiani (dopo Milano si specializza a Pavia) Bonhoeffer si mantiene anche suonando nel gruppo dei Solisti del Teatro alla Scala. «I miei genitori mi obbligarono a suonare il violino da piccolo, l’ho amato, poi odiato e adesso lo amo di nuovo, la musica è molto importante per me». L’amore per la musica è di famiglia. Il pianista ungherese Ernst von Dohnanyi era il nonno del direttore d’orchestra Christoph, prozio di Philipp. La famiglia di Philipp Bonhoeffer è notevole anche per altre ragioni. Il padre di Christoph era Hans von Donhanyi, alto ufficiale del Reich. Antinazista convinto, come i cognati Klaus e Dietrich Bonhoeffer, teologo della Chiesa confessante luterana. Tutti e tre furono arrestati dopo l’attentato a Hitler del 20 luglio 1943, detenuti e uccisi dai nazisti nell’aprile del 1945, con i russi alle porte di Berlino. «Per tutta la mia infanzia ho ignorato la storia della mia famiglia. Da bambino a scuola mi chiedevano se ero parente del teologo. Dicevo di sì, ma non sapevo di chi stessi parlando. Un giorno sono andato da mio padre e gli ho chiesto se davvero eravamo parenti. Ha risposto "sì, ma non ti riguarda". Mio padre è così, mi diceva "se trovi i miei articoli sulle riviste scientifiche, leggili, ma non cercarli, ci sono cose più importanti da fare". Così il passato è stato meno pesante di quel che poteva essere. Ne ho parlato spesso con Christoph, anche lui si è chiesto se portare i nostri nomi era un bene per noi oppure no. Abbiamo concluso che davvero non lo sappiamo. É così, un dato di fatto». Bonhoeffer è l’anti-accademico in una famiglia di accademici da generazioni. Il padre Friedrich, biologo, e il fratello Tobias, neurobiologo sono direttori del Max Planck Institut. «Sono l’ultimo della mia famiglia ad essere diventato docente, sono sempre stato l’ultimo in tutto», dice ridendo. Ha una bella faccia aperta, che ricorda molto quella del teologo Dietrich: «Era fratello di mio nonno Karl. Visto che nella mia famiglia si cerca di non dar peso al passato, l’ho scoperto solo da adulto e, leggendo i suoi testi da "non credente pensante", mi ci sono ritrovato. Certo, la sua prospettiva è teologica, ma io mi ci sono riconosciuto dal punto di vista umano. Mi sembra di capirlo al di là delle parole, più per quello che non dice, che lascia intuire di sé e dei suoi sentimenti. Forse quello che ci accomuna è l’essere entrambi i ribelli di famiglia. Ho sempre pensato che Dietrich avesse scelto la teologia per avere un suo spazio autonomo in una famiglia dove la tradizione degli studi scientifici è fin troppo radicata». Una famiglia di cervelliDietrich Bonhoffer è riconosciuto oggi come una delle massime figure del Novecento, il teologo dei tempi difficili, tornato in Germania dagli Stati Uniti per condividere la sorte di tutti, che reclamava un cristianesimo adulto, dove l’uomo deve prendersi le sue responsabilità di fronte a Dio, proprio in nome della libertà. Questa ansia di essere persone libere e insieme responsabili del proprio tempo caratterizza, ascoltandone la storia, anche le scelte, meno drammatiche ma ugualmente stimolanti per i giovani, del cardiologo: «Grazie al professor Parenzan ho scoperto anche l’Africa, lavorando al centro cardiochirurgico di Nairobi, da lui supportato insieme al professor Zichichi. Lì, vedendo pazienti che mai avrebbero avuto il denaro necessario per pagarsi un intervento a cuore aperto, ho cominciato a pensare che occorrevano tecniche a minor costo e rischio di infezioni. Il cateterismo cardiaco usa da tempo la tecnica del palloncino che riapre le arterie occluse. Il palloncino viene utilizzato anche per forzare valvole polmonari difettose, ma io stesso avevo finito per peggiorare, anziché migliorare, le condizioni di un paziente di 14 anni al quale avevo riaperto una valvola. Così mi è venuta l’idea di cucire una valvola animale entro uno stent e vedere se funzionava». Una molla di platinoLo stent è una molla di platino a maglie richiudibili che viene guidato in posizione scorrendo lungo un catetere che da una vena risale fino al cuore. Qui il palloncino inserito entro lo stent viene gonfiato, lo stent si apre e si blocca contro le pareti del vaso. Inserendo nell’intelaiatura metallica una valvola «di ricambio», la si porta in posizione senza dover aprire il torace e ricorrere alla macchina cuore-polmone. «All’inizio mi hanno aiutato Allen Tower, proprietario di una fabbrica di cateteri, e Mike Martin, che ha 800 vacche e mi ha pemesso di accedere ai macelli per far provvista di valvole giugulari bovine che sono di misura giusta, intorno agli 8 millimetri di diametro, abbastanza per poter operare un bambino di cinque o più anni. Convincere l’industria è stato più difficile». Bonhoeffer utilizza per la prima volta la tecnica che ha messo a punto all’ospedale Necker di Parigi, nel settembre del 2000, su un bambino di 12 anni. Da allora sono stati eseguiti 400 interventi. Per i primi sei anni è stata l’unico chirurgo al mondo in grado di farlo. Ora gira il mondo (prossimo giorno libero: il 15 dicembre) per formare equipe cardiologiche specializzate. Valvole giugulariIn Italia lavorano secondo la sua scuola i centri di Bologna, Roma, Massa Carrara. Ci sono 3 centri negli Stati Uniti, 6 in Canada e 20 in Europa (ma non in Francia). Niente male per «l’asino» bocciato ai test di Medicina. «Ho fatto delle cose, non so neppure se sono uno scienziato. Mi vengono delle idee, molte falliscono, alcune funzionano. Le prossime tappe sono sostituire la valvola aortica e rendere la metodica adatta a tutti i pazienti, anche i plurioperati con alterazioni nell’anatomia dei vasi. Un altro obiettivo è passare dal tessuto biologico a una valvola fatta di seta sintetica, l’ideale sarebbe copiare le proprietà della seta tessuta dai ragni. Ho provato a mungere i ragni, è difficilissimo perché ti mordono!». I ragazzi lo fissano, lui è serissimo, Parenzan si arrende alla commozione, i colleghi dei tempi dell’internato agli Ospedali Riuniti corrono ad abbracciarlo. (10/10/2007)Susanna Pesenti
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