Pd, dilemma sul futuro: campo largo o la Schlein

ITALIA. «Non ci hanno visto arrivare» - è stato il commento, tra il sarcastico e l’intimidatorio, con cui la Schlein ha salutato la sua inaspettata elezione a segretaria del Pd. Il minaccioso avvertimento era rivolto in prima battuta agli avversari interni del partito.

Ma implicitamente era anche un ultimatum alla maggioranza: presto sarebbe venuto il suo turno. L’onda d’urto del nuovo Pd l’avrebbe travolta. Alla prima prova elettorale l’onda d’urto non s’è vista proprio. Non s’è visto nemmeno quell’entusiasmo che sembrava aver rivitalizzato il partito con l’elezione alla sua testa di una giovane donna piena di vitalità.

Dalle stelle alle stalle. Di colpo, la cometa lucente che doveva guidare il popolo di sinistra verso la terra promessa del governo s’è come spenta. Siamo alle solite. Basta un’attesa delusa per invertire l’umore. È un po’ il frutto di quella ipersensibilità, propria del mondo politico italiano, ai risultati elettorali anche di fronte a dei test di modesta entità.

E sì che il recente passato dovrebbe pur aver insegnato qualcosa. Il Pd aveva sbaragliato la destra nelle varie tornate amministrative del 2021. Aveva prevalso praticamente in tutti i capoluoghi: Roma, Napoli, Milano, Torino. Eppure, il 25 settembre scorso ha subito alle Politiche una sonora sconfitta. Sono tempi in cui il vento cambia spesso direzione. Si dovrebbe esser perciò prudenti nel trarre precipitose conclusioni da un limitato test elettorale.

Più che allarmarsi sul brutto passo falso in cui è incappato, il Pd farebbe bene a riflettere su un altro quesito: ha le forze per riprendere a camminare speditamente e soprattutto sa quale direzione vuole prendere? Di tutte le indicazioni suggerite dal voto (scarsa capacità di mobilitazione del proprio popolo, mancato effetto sorpasso al ballottaggio, cedimento persino nelle tradizionali roccaforti rosse) una merita un’attenzione speciale: il Pd ha vinto solo dove non ha seguito la linea Schlein. C’è da chiedersi allora, non se la nuova segretaria dem è stata vista arrivare, ma se è proprio perché è arrivata che gli elettori hanno girato la testa da un’altra parte.

La giustificazione offerta dall’entourage della segretaria è che la Schlein è alla guida del partito solo da due mesi: non le si può addossare l’insuccesso di candidati e di liste scelti da altri. A parte il fatto che sono opera del suo braccio destro Boccia, responsabile da prima degli enti locali, resta il fatto che nelle regioni in cui ella ha imposto suoi uomini - e sue donne - come in Lazio e Sicilia, il Pd ha avuto i peggiori risultati, mentre ha avuto i migliori proprio laddove il partito presentava candidati non certo in linea con l’indirizzo massimalista della sua segretaria.

Particolare ulteriormente curioso è che laddove ha presentato candidati - chiamiamoli - moderati (prima a Verona, ora a Brescia e Vicenza), il partito è riuscito a fare il miracolo: realizzare quel campo largo sempre invocato e mai visto. Se queste sono le indicazioni desumibili dal voto, è chiaro che il Pd si trova davanti a un bel dilemma: o scommette in maniera più convinta e decisa sulla linea Schlein o la abbandona e imbocca la strada opposta, in linea con i successi amministrativi raccolti. Non si tratta di rallentare o accelerare il passo di marcia. Si tratta di decidere la direzione.

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