Lombardia alle urne e nuovi equilibri

Italia. Dal 1995, da quando in Lombardia c’è l’elezione diretta del presidente della Regione, il candidato del centrodestra è andato solo due volte sotto il 50% del consenso: nel 2013 quando Roberto Maroni ha scontato le tensioni della rottura interna con Roberto Formigoni e 5 anni fa dove però ad Attilio Fontana è mancato solo un misero 0,25% per tagliare il traguardo.

E già nel 1995, quando la Lega aveva corso da sola (candidando Francesco Speroni), la somma dei partiti della possibile coalizione aveva sfiorato il 60%.Quota superata in carrozza già cinque anni dopo con un centrodestra unito. E ancora così si presenta alle elezioni del 12 e 13 febbraio dove sono 4 gli aspiranti presidenti, l’uscente Attilio Fontana, Pierfrancesco Majorino, Letizia Moratti e Mara Ghidorzi. Non c’è ballottaggio, vince chi arriva in testa al primo e unico turno.

Un’analisi storica dimostra in modo incontrovertibile che da sempre la Lombardia è una regione di centrodestra: vero che su 12 capoluoghi di provincia il centrosinistra ora ne governa ben 9 (a cominciare dai 4 più popolosi, Milano, Brescia, Monza e Bergamo) contro i 2 dei competitor e un civico a Como, ma lo è pure il fatto che su 10 milioni di abitanti solo un quarto risiede in queste città. Quindi la partita si decide altrove, su un territorio fatto di realtà medio piccole, perché in Lombardia ci sono solo 25 città che superano i 40mila abitanti. Se incrociamo questo dato con un sistema elettorale proporzionale e le preferenze ne consegue che il radicamento territoriale dei candidati può fare la differenza: conta la capacità di raccogliere voti porta a porta.

Un contesto che potrebbe rivelarsi interessante soprattutto nel centrodestra dove i risultati delle ultime Politiche hanno visto Fratelli d’Italia passare davanti a tutti, in primis alla Lega, rovesciando così equilibri storici: ma se le truppe meloniane hanno i voti, quelle salviniane sono molto più radicate in Lombardia. Al netto delle tensioni interne, della variabile dei bossiani in libera uscita e degli ex leghisti migrati a sostegno di una Moratti che vuole pescare nel medesimo bacino elettorale. E oltre. Non a caso insiste sulla natura civica, programmatica e non partitica, della sua candidatura, quasi a volersi smarcare dal terzo polo che la sostiene e allargare così i confini di un possibile bacino di voti tutto da valutare. Soprattutto superata la cinta milanese.

Nell’attesa sta passando la regione palmo a palmo, come un Majorino che a tratti sfiora l’ubiquità e si presenta con un certo qual ottimismo sull’esito finale, sia per convinzione che (tanto) per necessità. Numeri alla mano, il distacco minimo che il centrosinistra ha registrato in tutta la storia delle elezioni lombarde è stato di 4,5 punti nel 2013: quando c’erano sì le scorie della brusca fine del ciclo formigoniano, ma anche il debutto dei pentastellati (che qualche voto qua e là l’avevano rosicchiato), il velleitario tentativo di Gabriele Albertini – costato comunque 4 punti al centrodestra - e soprattutto il candidato più civico mai espresso dalla coalizione, Umberto Ambrosoli. Chiusa quella tornata di 10 anni fa, per il centrosinistra in Lombardia sono state sempre e solo batoste.

Anche per questo Fontana appare relativamente tranquillo: inoltre da presidente uscente ha l’indubbio vantaggio di muoversi sul confine di impegni istituzionali che spesso sanno tanto di campagna elettorale. I problemi potrebbero semmai arrivare dopo: tanto per cominciare se il centrodestra non supererà il 40%, quota oltre la quale scatta il premio di maggioranza, almeno 48 seggi sugli 80 del Pirellone, presidente compreso. Sotto questa percentuale ci si ferma a 44 e potrebbe essere un margine risicato in una coalizione alla presa con nuovi equilibri.

E qui arriviamo al secondo possibile problema: nel caso Fdi confermasse il risultato delle Politiche sarebbe la prima volta di un presidente non appartenente al partito di maggioranza: la Lega, formalmente, nel 2013 era sì dietro il Pdl come consenso, ma in campo c’era anche la lista ad hoc di Maroni che riportava gli equilibri a favore del Carroccio. Che questa volta potrebbe avere il governatore ma non la maggioranza interna, a meno di un exploit della lista del presidente. Con tutti gli annessi e connessi del caso, tanto più in un partito in fibrillazione continua e con, più a destra, Fdi che manda messaggi rassicuranti , di quelli che alla fine però rassicurano poco.

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