Democrazia, le critiche e i limiti da rispettare

Esteri. A Brasilia, c’è stata la replica quasi perfetta dell’assalto di due anni prima a Washington, ed è la prima volta che accadono due eventi così simili in due grandi Paesi liberi. È molto grave, ma non basta scandalizzarsi solo accademicamente sulle istituzioni violate.

C’è anche qualcosa che ci riguarda, come media e opinione pubblica. In democrazia vale la regola della critica, da difendere sempre, ma c’è anche la regola dei limiti da rispettare: no alla violenza, è il minimo, ma sì al riconoscimento della reciproca legittimità di posizioni diverse, e alla necessità di misurare sempre il consenso. C’è solo un’eccezione, senza la quale nella storia non ci sarebbero state le rivoluzioni, e cioè la ribellione ad una situazione insopportabile. Ma è questo il caso di Capitol Hill e di Brasilia? Certamente no, ma accanto a facinorosi strumentalizzati, c’è stata sicuramente in quella folla una frazione in buona fede che voleva denunciare proprio l’insopportabilità di un sopruso. Se ti martellano in testa l’idea che il voto è stato falsificato, ti ribelli. Allo stesso modo, veniamo a noi, se l’opinione pubblica è raggiunta solo da messaggi negativi sui comportamenti personali dei politici, vien meno la fiducia e di nuovo ti ribelli. Sta qui il successo del populismo, che esiste da quando è nata la politica. Platone, ben 2500 anni fa, denunciava la demagogia come degenerazione della democrazia.

Anche oggi in Italia, sarebbe illusorio pensare che abbia finito il suo ciclo, solo perché screditata dall’incapacità di chi l’ha cavalcata. Non serve insistere sull’inadeguatezza dei grillini, anzi può dar nuovo vigore alla ricerca di demagoghi 2.0, magari con pochette. A Brasilia e Washington non c’era bisogno neppure di grillini. Il potere legittimo proclamato era quello del popolo, ma non con la mediazione di una legge, espressa dalla maggioranza.

Queste mediazioni sono anzi orpelli, fumo, deviazioni costruite in palazzi che vorrebbero simboleggiare la solennità della rappresentanza, ma che sembrano solo volgarmente lussuosi. E infatti l’assalto al luogo simbolo, lo sfregio alla solennità dell’Aula parlamentare, la devastazione di tutto ciò che la circonda non è violenza, ma ripristino di una condizione naturale, primitiva e non intermediata, che, come a Capitol Hill, comprende l’allontanamento fisico senza riguardi e magari qualche rivoltellata, ai rappresentanti «abusivi».

Una sorte che anche in Italia i movimenti dei «forconi» avrebbero voluto riservare ai parlamentari. Poi sono arrivati quelli della scatoletta di tonno.

Tutto questo richiede una risposta culturale, e non è facile, perché c’è certamente in Italia un problema di educazione civica, che richiede tempi lunghi. Ma almeno evitiamo la banalità delle semplificazioni scandalistiche.

La politica va giudicata politicamente, non per i gossip o per gli emolumenti che per paura di impopolarità, lei stessa tiene bloccati dal 2007, e anzi litiga su chi ha il merito di averlo deciso, anche se è stato all’unanimità.

Se vogliamo criticare mister-gratuitamente Giuseppe Conte additiamo gli errori politici e i costi scaricati sui cittadini, non le sue vacanze a Cortina. Se la politica viene sempre rappresentata come un circo di figurine privilegiate, si rafforza solo la convinzione che quelle istituzioni siano inutili e anzi dannose. Altro che taglio dei parlamentari, perché allora non tagliarli del tutto, cacciandoli via a forconate?

La politica in realtà è cosa complessa e difficile. Persino i grillini hanno capito che uno non vale uno e che è una sciocchezza sostenere che basta votare sì alle cose giuste e no a quelle sbagliate, se non si è prima studiato, se non si ha un metro di valutazione, un riferimento – ebbene sì – a categorie come destra e sinistra.

Il parlamentare è un essere umano e dunque normalmente fragile, oggi ancor più perché scelto dall’alto e non con le preferenze. Ci sono mille ragioni per criticarlo. Se viola le leggi va condannato dalla Magistratura, ma la sanzione politica più grave dovrebbe essere quella di non votare più né lui né chi lo ha designato. Insomma, mandar via loro, non la democrazia.

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