Accademici della Cucina
Gioie e dolori dell’olio

Gioie e dolori del mercato dell’olio d’oliva italiano sono stati illustrati, con competenza e simpatia, da Adriano Pelle, Accademico della cucina, giornalista e scrittore, direttore del centro studi Regione Toscana.

Pelle è intervenuto ad una riunione conviviale della delegazione bergamasca dell’Accademia Italiana della Cucina (delegato l’avvocato Lucio Piombi) alla Trattoria Falconi di Ponteranica. Tra gli ospiti il delegato di Brescia e coordinatore territoriale Lombardia Est, Giuseppe Masserdotti.

«L’etichettta sulle bottiglie di olio – ha esordito Pelle – nonostante i miglioramenti fin qui avuti, è ancora a favore del produttore più che del consumatore. Sulla bottiglia non è indicata la data di produzione ma solo quella di scadenza. Non si dice quale tipo di oliva è stata franta. Solo ora, dopo tanti mesi, si è arrivati all’obbligo della bottiglia antiriempimento sul tavolo del ristorante».

L’oratore ha quindi toccato il tasto dolente del sorpasso che la Spagna ha operato nei confronti dell’Italia in relazione alla produzione di olio. Tra il 1995 e il 1998 la Spagna ha piantato 45 milioni di nuovi ulivi, contro 1,5 milioni di piante dell’Italia. Inoltre società spagnole hanno acquisito celebri marchi italiani come Carapelli, Bertolli e Sasso. L’Italia è quindi retrocessa al secondo posto tra i produttori mondiali. L’olio spagnolo all’origine costa meno di quello italiano e quindi è avvantaggiato sui mercati, per non parlare della introduzione a prezzi bassissimi di olio tunisino e marocchino che sconvolgono il mercato.

Di olio buono se ne trova ancora – ha detto Pelle – ma bisogna saperlo individuare, anche se purtroppo il costo è, per una famiglia, una condizione spesso imprescindibile. Avendo un elevato punto di fumo (circa 180 gradi), l’olio d’oliva va bene per le fritture, ma sempre più spesso è soppiantato dall’olio di semi di arachide modificato, che non nuoce ma non dà sapore al fritto.

La dotta lezione del dottor Pelle ha accompagnato una sontuosa cena tosco-bergamasca, come è nella tradizione della storica Trattoria Falconi fondata nel 1963 dal nonno degli attuali patron, i fratelli Giorgio in cucina e Marco in sala. Dopo un ricco antipasto (notevoli il paté toscano, il lardo di Colonnata e la polenta di mais di Gandino con crema di Branzi), sono piaciuti, più che i casoncelli alla Bergamasca, “i gigli alla maremmana al ragù bianco toscano con pecorino grattugiato”. Nulla da dire sui due secondi a base di carne: ottimo sia l’arrosto con porcini trifolati, polenta bramata e patate di Martinengo sia i bocconcini di Chianina stufati al Valcalepio Rosso. Del resto la Trattoria Falconi è nota e molto frequentata per l’eccellenza delle sue carni. Per finire una assaggio di formaggi e un ottimo tortino di cacao e crema pasticcera.

A parte i casoncelli, una cena sicuramente degna dell’Accademia della Cucina, come ha rilevato il delegato Lucio Piombi e come è emerso dalle schede di giudizio compilate dai soci. È stato infine annunciato che il 18 aprile l’Accademia sarà a Brescia per visitare la mostra «Il cibo nell’arte: capolavori dei grandi maestri dal ‘600 a Warhol». La cena verrà consumata a Brione, ristorante Madia. Prenotazioni: Alberto Pinetti, tel. 3356970744, [email protected].

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