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Stephen Fleming. L’importanza scientifica di coltivare il dubbio

Articolo. Spesso, «sapere di non sapere» aiuta a vivere meglio. Non lo dice solo il filosofo greco Socrate, lo confermano anche le neuroscienze. La capacità di essere consapevoli di ciò che si sente e pensa è un potente strumento al centro della ricerca di Stephen Fleming, psicologo e neuroscienziato tra i massimi esperti al mondo di metacognizione. Il direttore del MetaLab dell’University College di Londra sarà ospite a «BergamoScienza» domenica 15 ottobre alle 15 a NXT Station

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Stephen Fleming

Una persona vuole dare le dimissioni da un posto di lavoro per cominciare una nuova avventura professionale. Poche ore prima del colloquio con il capo, però, un pensiero la assilla: «Sto facendo la scelta giusta?». Un’altra ha fatto una visita specialistica con un medico che ha visto per la prima volta e che le ha fatto una diagnosi importante. Un po’ scossa, lasciando lo studio, si chiede: «Mi posso fidare di questo dottore? Meglio sentire un secondo parere?». Questi due dubbi fanno riferimento a una precisa facoltà della nostra mente, la metacognizione, che da millenni accompagna l’essere umano e gli permette di avere una consapevolezza maggiore di sé, dei suoi pensieri, delle sue emozioni e anche di compiere scelte migliori.

Una facoltà che per lo psicologo e neuroscienziato inglese Stephen Fleming è così affascinante ed essenziale da essere diventata il focus di studi per cui ha ricevuto la medaglia Spearman della British Psychological Society. Tra i massimi esperti al mondo di metacognizione, il direttore del MetaLab dell’University College di Londra sarà a «BergamoScienza» domenica 15 ottobre alle 15 a NXT Station in Piazzale degli Alpini, ospite di un incontro moderato da Nicola Quadri, segretario del Comitato Scientifico Associazione BergamoScienza.

Autoconsapevolezza, uno strumento per pensare meglio

Secondo lo scienziato, «la metacognizione è un concetto un po’ più ampio del semplice pensare al pensiero, come indica il senso letterale del termine: significa infatti riflettere su tutti i nostri stati mentali interni e chiederci quanto stiamo vedendo chiaramente il mondo. Ho bisogno di un nuovo paio di occhiali? La mia memoria è precisa? Ho studiato abbastanza per passare quell’esame?». Questo il punto di partenza di «Conoscere se stessi», un testo divulgativo in cui Fleming presenta questo tema in modo chiaro e accessibile e di cui parlerà anche al festival di scienza cittadino.

«Non si tratta di un libro di autoaiuto per insegnare come essere più autoconsapevoli – ci tiene a precisare – ma di un lavoro dedicato a come funziona il cervello davanti alle valutazioni e alle decisioni. Prima di cominciare i miei studi in psicologia e neuroscienze, non avevo idea che potesse esistere una scienza della mente e, in particolare, una scienza che indagasse gli aspetti coscienti dell’essere umano. Questa scoperta mi ha così entusiasmato che ho voluto poi cercare di ispirare altre persone. Inoltre, la ricerca sulla metacognizione era relativamente giovane, anche se questa facoltà accompagna l’essere umano da migliaia di anni, c’era tantissimo da indagare».

Fleming, infatti, spiega che la metacognizione è oggetto di ricerca solo dagli anni Cinquanta e Sessanta e che solo più di recente, tra gli anni Novanta e il Duemila, è stato possibile misurare la metacognizione in laboratorio grazie a tecnologie di imaging cerebrale per capire come funziona l’autoconsapevolezza nel cervello umano. «Questi studi hanno implicazioni fortemente pratiche perché l’autoconsapevolezza è ciò che ci permette di conoscere meglio noi stessi e ciò ha molti benefici per la presa di decisioni, l’apprendimento e più in generale la vita con gli altri» spiega Fleming.

Per comprendere meglio il ruolo dell’autoconsapevolezza, lo scienziato fa un paragone molto chiaro: «pensiamo a un’orchestra: la metacognizione è come se fosse il direttore. Se non ci fosse, i musicisti suonerebbero lo stesso, ma è lui che trasforma una performance di routine in un’esibizione di livello mondiale. Allo stesso modo ci sono abilità mentali che possono funzionare senza che noi ci pensiamo, senza che monitoriamo noi stessi, ma la metacognizione ci perfeziona».

«Quanto diventa importante l’autoconsapevolezza poi per spingere la nostra mente nella direzione più giusta? – prosegue Fleming – Pensiamo a quando riflettiamo su quanto una decisione sia valida o meno: se abbiamo studiato a sufficienza prima di un esame o se sarebbe meglio seguire una strategia o un’altra in un dato momento. La metacognizione ci aiuta in caso a rivedere la nostra scelta per farne una migliore, a capire che dobbiamo approfondire degli argomenti su cui ci siamo concentrati poco e abbiamo dei buchi o a capire quale è il modo più efficace per raggiungere un obiettivo».

L’importanza del dubbio tra politica, clima e intelligenza artificiale

Una metacognizione che funziona bene è importante anche per la vita collettiva, per la democrazia e perfino rispetto al cambiamento climatico: «coltivare il dubbio e l’incertezza significa rendersi conto anche di non sapere qualcosa – il “so di non sapere” di Socrate – e questo può indurti a voler colmare le tue lacune o chiedere consiglio a qualcuno». Su questo tema, Fleming e il suo team hanno condotto recenti esperimenti in laboratorio: «abbiamo rilevato quanto persone con metacognizione bassa siano meno inclini a riconoscere quando sbagliano e quindi più propense ad avere credenze più estreme su questioni del mondo reale, ad esempio a livello politico o per quanto riguarda il riscaldamento globale. In questo senso, percepire l’incertezza è una buona cosa: ti protegge dalla convinzione di sapere di per certo ciò che sia giusto sempre e in modo assoluto. Nessuno ha tutte le risposte, soprattutto per problemi molto complicati».

Il tema della consapevolezza di sé ritorna anche nel dibattito sull’intelligenza artificiale, che non ha questo tipo di caratteristica, ma che è in grado di ridurre gli errori umani. «Difficile dire qualcosa a riguardo, perché le cose si muovono rapidamente – commenta lo scienziato – se non che ad oggi i tipi di dispositivi di IA con cui interagiamo, come grandi modelli linguistici e chatbot, sono incredibilmente potenti e possono accedere a una grande quantità di informazioni, anche se sembrano avere una limitata metacognizione su ciò che sanno e ciò che non sanno».

«Il problema è che, come abbiamo scritto in un articolo pubblicato di recente, le persone tendono ad attribuire all’intelligenza artificiale più fiducia di quanto dovrebbero, poiché questi sistemi hanno una metacognizione scarsa. Se in alcuni campi questo è accettabile, ad esempio nel caso del pilota automatico di un aereo, in altri invece – penso a un’assistente artificiale – sapere di non sapere una risposta correttamente sarebbe fondamentale. Questo però è un campo ancora tutto in divenire».

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