Ci sono storie che si perdono negli anni che passano, rimangono nella memoria di pochi, anche se avrebbero meritato una visibilità maggiore. Sono queste le storie più belle da raccontare, come quella di Lorenzo Federici, professione fisico. Sapevo di Federici perché a lui è stato intitolato l’Istituto Superiore di Trescore Balneario – poi ho scoperto anche la scuola elementare e la biblioteca di Ranzanico – ma scartabellando in rete poco si trovava, nonostante Federici abbia lavorato nei laboratori nazionali di Frascati e dato, attraverso la sua tesi di laurea in fisica nucleare (110 e lode), diversi spunti importanti per la costruzione dell’acceleratore di particelle prima a Frascati e poi al CERN di Ginevra.
Mi sono messo alla ricerca di persone che l’avevano conosciuto bene e di lui potevano dare una testimonianza viva e sentita. L’ho trovata nelle voci fiere e commosse della sorella di Lorenzo, Mariella Federici, e nel cugino, Aristide Zambetti. Entrambi vivono tutt’oggi a Ranzanico (anche se Mariella solo d’estate) e hanno saputo raccontarmi sia il lato umano che quello scientifico di Federici.
Nato il 2 settembre 1939 a Ranzanico, Federici vive in una famiglia dalle condizioni economiche ristrette: la madre Vittoria (che morirà pochi anni dopo), la sorella maggiore Mariella e il padre Giuseppe, che viene chiamato alle armi e combatte la Seconda guerra mondiale, rimanendo prigioniero degli inglesi ad El Alamein e deportato per 5 anni nell’isola di Ceylon (l’odierno Sri Lanka). Ma c’è un’altra figura importante nella vita di Lorenzo, “è quella del nonno – mi racconta Mariella – una persona saggia, che aiuta la madre a far crescere i figli e cerca di fare scoprire a Lorenzo le cose belle della vita anche in tempi difficili”.
La madre Vittoria muore dopo che il padre Giuseppe è rientrato dalla guerra e “inizia così un periodo doloroso per Lorenzo che deve affrontare il Collegio”. Ma che tipo era Federici?“Era un ragazzo intelligente e curioso. Un po’ cicciottello, caratteristica per la quale subiva il bullismo dei compagni, che c’era già allora, non è una novità di questi anni. Poi era esuberante, estroso, a volte distratto dai suoi stessi pensieri. Una persona dinamica, volitiva, alla ricerca sempre di qualcosa di nuovo, che lo colpisse, lo affascinasse. E questo nel contesto di una giovinezza difficile”. Uno così è arduo fermarlo, e difatti aveva “un carattere indomito, la sua forza di volontà e la sua testardaggine bergamasca lo hanno aiutato a superare tutti i momenti bui”.
La famiglia Federici ha bisogno di risorse e terminate le scuole dell’obbligo Lorenzo frequenta l’Istituto Spallanzani a Bergamo diplomandosi come fresatore, titolo che gli permette di lavorare alla Dalmine di Costa Volpino, come operaio in fabbrica.
Federici però non è contento della sua vita, cerca altro e la chiamata al servizio militare a Roma rappresenta per lui una svolta. Al momento di partire con il treno il nonno “lo incita a prendere in mano la sua vita ed a fare ciò che è meglio per il suo futuro”. Sembrano parole dette come una sorta di augurio, ma per Lorenzo il nonno è una figura importante e lo prende in parola: siamo alla fine degli anni Cinquanta, Roma è una grande città che stava ricostruendosi, sia fisicamente (i palazzi abbattuti dalle bombe) che moralmente. Il boom economico è appena cominciato e Lorenzo decide di rimanere nell’Urbe, “con l’aiuto di alcuni amici a cui rimarrà sempre legato” trova lavoro presso l’ente Maremma di giorno, mentre la sera studia: prende a 23 anni la licenza media, a 28 è perito tecnico industriale e poi si iscrive alla Sapienza di Roma. “Io e mio marito, per il quale era una sorta di fratello, lo aiutammo economicamente a studiare e comprare casa dopo il matrimonio (con Doriana Giuliodori, con cui ebbe due figli, ndr)”.
È una grande scalata la vita di Lorenzo, che non ha alcuna intenzione di fermarsi. La laurea arriva nel 1974, la tesi finale ha come relatore “il professor Marcello Conversi, uno dei nomi illustri della Fisica italiana”. Conversi in quegli anni compie alcuni esperimenti fondamentali sui raggi cosmici che gli fecero scoprire la particella muone e quella pione avviando di fatto gli studi sulla fisica delle particelle. A partire dal 1970 all’Istituto di Fisica nucleare di Frascati Conversi e il suo gruppo – di cui faceva parte anche Federici già nel 1973, con la sua tesi in fisica nucleare – realizzarono degli esperimenti all’acceleratore di particelle e+e- ADONE. In particolare, come spiega Aristide Zambetti, “Conversi aveva affidato a Lorenzo di un nuovo tipo di Rilevatore per esperimenti di fisica subnucleare: le cosiddette camere odoscopiche, o a flash, in materiale plastico”. Le camere odoscopiche – che lo fecero diventare un nome spendibile per i laboratori nazionali di Frascati e al CERN di Ginevra – possono essere di polipropilene e Zambetti ricorda che “io stesso con Lorenzo ho girato parecchie zone della Lombardia per la ricerca di quel materiale plastico adatto allo scopo ma anche di natura economica. Io gli dicevo ‘ma té tó sé màt’, tu sei matto, tradotto in italiano, però lui riuscì nel suo intento”.
C’è un’altra dichiarazione di un nome importante della fisica italiana, Carlo Guaraldo, che tratteggia con efficacia il contributo alla ricerca di Lorenzo Federici. Questa testimonianza me l’ha riportata Aristide Zambetti: “l’apporto di esperienza che Lorenzo Federici diede ai laboratori fu quello di un rapporto diretto e immediato di una persona approdata alla ricerca scientifica dopo aver trascorso anni della propria giovinezza lavorando. Questa singolare situazione gli permise di inquadrare i problemi della ricerca in una prospettiva particolare”. Che significa anche la necessità di fare comprendere la fisica alle persone comuni: come racconta Guaraldo: “fu tra i primi fisici a comprendere la necessità di un rapporto più diretto ed immediato tra la comunità scientifica e la società dei non addetti ai lavori”.
Guaraldo però descrive Federici anche come una persona sempre entusiasta, che non si faceva abbattere dai problemi: “la sua prestanza fisica, il suo carattere esuberante, le sue grandi qualità umane, la sua estrema fiducia in un futuro migliore, lo imposero come una persona speciale riconosciuta e stimata da tutti i colleghi”.
La tesi di laurea e le camere odoscopiche – impiegate su larga scala per i calorimetri a flash – trovarono applicazione “al CERN di Ginevra, al laboratorio del Frejus, nei laboratori Fermi di Frascati e a Los Alamos negli Stati Uniti”, elenca Aristide. C’è un altro progetto che coinvolse Federici, ed è il LADON, “lo spiego succintamente perché io sono digiuno di fisica: si tratta della realizzazione di un fascio di fotoni monocromatici e polarizzati dall’urto di luce laser sugli elettroni in moto nella macchina ADONE”.
Concluso quel progetto, Federici lavorò con Antonino Zichichi alla costruzione de laboratorio del Gran Sasso, dove studiare la stabilità della materia e i collassi gravitazionali delle stelle grazie “a un gigantesco rilevatore di migliaia di tonnellate di peso”. Insomma, laddove la fisica evolveva, Lorenzo Federici c’era. Ma nel 1982 morì per un aneurisma celebrale, a soli 42 anni, mentre si parlava per lui di un premio Nobel per la fisica. Un giorno, prima di entrare in coma (morì il 10 gennaio, ndr) lui, cattolico, chiese a Mariella come mai il Signore volesse fermarlo proprio adesso.
Ma perché oggi Lorenzo Federici viene ricordato così poco? L’Italia è un paese diffidente verso la scienza, c’è poca preparazione e se non si tratta di scoperte sensazionali o di storie misteriose e uniche come quella di Majorana l’oblio è a portata di mano. “È vero, viene ricordato poco – sottolinea Aristide – C’è un proverbio che dice ‘nemo propheta in patria’ e calza a pennello per Lorenzo. A Ranzanico lo stimavano tutti ma non capivano la portata del suo lavoro. Fuori dal paese non è stato valutato per la persona che era. Spesso la gente, presa dal tram tram quotidiano, si dimentica”. “Le sue scoperte sono difficili da spiegare – aggiunge Mariella – Non è stato riconosciuto da Bergamo, dalla provincia, dalla nazione intera e dispiace molto”. Dispiace, è vero, ma ogni racconto è una piccola luce che illumina le parti buie della Storia. E Lorenzo alla fine pare di vederlo: barbuto, il corpo possente, con quegli occhi che sono gli occhi di chi cerca di svelare il mistero del mondo.