Difficilmente sentirete qualcuno parlare in modo positivo dell’alimentazione o rispetto al proprio corpo. Ed è qui che vi pongo le prime domande: «perché sentiamo sempre parlare in modo negativo dell’alimentazione? Perché non riusciamo quasi mai a seguire una dieta?».
Il mio viaggio inizia proprio da qui. Dal fatto che, nella mia pratica clinica, diverse persone che seguivo tornavano da me dopo un certo periodo di tempo. Non sono mai stata una dietista dalle regole rigide. Nei miei studi, però, mi era stata insegnata solo una tipologia di approccio: quello prescrittivo. Questo modo di lavorare parte dal presupposto che una persona debba avere delle regole – che possono essere dalle più rigide alle più blande – per riuscire a seguire un’alimentazione sana.
Ho sempre vissuto il fatto che molte persone tornassero da me come una sconfitta personale, perché significava che non avevo trasmesso loro tutta la mia conoscenza. Cercavo un nuovo modo di lavorare, per poter rendere una persona il più indipendente possibile e per darle modo di riacquistare fiducia in sé stessa e nei propri bisogni.
Venendo da una formazione da dietista, mi sono chiesta se queste regole fossero così fondamentali da seguire per riuscire ad avere un’alimentazione corretta ed equilibrata. Ho scoperto che non è così. L’alimentazione è un nostro bisogno primario e, come tale, va rispettato. Come non mettiamo regole davanti a qualsiasi altro bisogno (andare in bagno, per esempio) non dovremmo metterle anche nel mangiare.
Più inseriamo delle regole all’alimentazione, più ci allontaneremo dall’ascolto dei nostri bisogni di fame e di sazietà. Queste regole riducono anche la fiducia in noi stessi, tanto da pensare di non potercela fare da soli a raggiungere i nostri fabbisogni. Crediamo spesso, inoltre, che solo le persone del settore siano in grado di consigliare un’alimentazione di benessere e giusta per noi. La realtà è che nessuno conosce le nostre esigenze meglio di noi stessi.
Ascoltare i nostri bisogni ci aiuta ad autoregolarci senza l’utilizzo di grammature specifiche per gli alimenti che, anzi, sono molto limitanti. Ogni giorno, infatti, viviamo situazioni differenti. Ci saranno giorni in cui avremo più fame a pranzo, giorni in cui avremo meno fame. Avere delle grammature fisse per ogni alimento tutti i giorni non aiuta sia nell’ascolto delle nostre necessità, sia nel sentirci bene con noi stessi.
Prendiamo per esempio la grammatura standard della pasta: 80 grammi. Si tratta di una grammatura consigliata all’interno delle linee guida LARN, definita come «porzione standard» per la popolazione generale, quindi può non essere adatta a tutti. Ma anche se questa fosse una porzione che si potrebbe adattare al nostro fabbisogno, non è vantaggioso utilizzarla sempre. Se un giorno, per esempio, abbiamo meno fame del solito, non ha senso finire quella grammatura, perché ci appesantirebbe inutilmente e non riusciremo a svolgere tutto quello che abbiamo in programma durante la giornata. Se invece un giorno abbiamo più fame del solito, quegli 80 grammi non ci sazieranno e ci alzeremo da tavola con la fame.
Lo so, c’è anche l’idea che bisogna alzarsi da tavola con un po’ di fame. Ma pensiamoci bene, più ci alziamo da tavola con la fame, più avremo il bisogno di mangiare subito dopo. Questo perché la fame aumenta gradualmente in modo da permettere al nostro organismo di richiedere ulteriore energia con questo segnale. Che senso ha alzarsi da tavola con la fame, per poi interrompere il pomeriggio più volte perché non siamo soddisfatti? Non ha più senso alzarci sazi in modo da rendere anche più proficuo il tempo da dedicare al pomeriggio?
Questo evita anche i sensi di colpa nel corso della giornata. Infatti, se noi riusciamo a saziarci completamente, non avremo fame dopo poco tempo e non avremo quella sensazione di sentirci «sbagliati».
Ci tengo però a precisare che dobbiamo comunque accogliere la fame in ogni momento, anche ad un orario che non ci sembra consono. Se non abbiamo tanto tempo, per esempio, e riusciamo a mangiare solo qualcosa al volo a pranzo, accogliamo il fatto che dopo poche ore avremo di nuovo fame. Non vi preoccupate: approfondiremo questo concetto tra qualche settimana, parlando di spuntini.
«Ok, ma voglio perdere peso, come faccio se non seguo una dieta?». Partiamo dal capire che il peso non è un fattore così tanto variabile. Questo perché il nostro peso non dipende solo dall’attività fisica o dall’alimentazione, ma anche da predisposizioni genetiche, ambiente politico, comunità, persone che si frequentano, livello di istruzione, aspetto economico di una persona. Inoltre, noi abbiamo un peso naturale, un range di peso in cui oscilliamo e possiamo mantenere senza fare diete o attività fisica.
Più sforziamo il nostro organismo a raggiungere un peso che è diverso da questo peso naturale, più stressiamo il nostro corpo e la nostra psiche, allontanandoci da uno stato di benessere ottimale. Mangiare consapevolmente e seguendo i propri bisogni non significa che non si dimagrirà. Il peso in questa tipologia di percorsi non è un obiettivo, ma può essere una conseguenza dello stare bene. Il numero sulla bilancia potrebbe quindi scendere, rimanere uguale o salire in base a quello di cui ha effettivamente bisogno il nostro organismo.
In conclusione, posso dire che essere passata a un approccio inclusivo non prescrittivo e non focalizzato sul peso mi è servito. E come a me, può servire a molti altri. Non è un percorso semplice perché allontana completamente dalla visione moderna della cultura della dieta, ma vi assicuro che riesce a dare una consapevolezza e una visione nuova dell’alimentazione.
Io paragono sempre la cultura della dieta al velo di Maya di Schopenhauer, un velo che distorce completamente la realtà. L’obiettivo è rompere questo velo, per imparare ad avere un rapporto spontaneo e ottimale con il cibo.