Qualche giorno fa ero in macchina con una collega e ci stavamo mostrando tra reciproci complimenti le foto dei nostri figli. A un certo punto il tassista ci chiede: «Di che razza sono?». Dava per scontato che stessimo parlando di cani.
Quando si è verificato questo cambiamento antropologico per cui è più probabile che due donne adulte siano “mamme” di cani, piuttosto che di figli? E quando è diventato socialmente accettabile definire – e definirsi! – mamme di un “figlio peloso”? Oppure andare a passeggio mettendo i cani nelle culle, invece dei bambini?
I cani sono meglio delle persone che dicono che i cani sono meglio delle persone
Cani e figli non sono in competizione, disputano proprio in campionati diversi. Dovrebbero essere argomenti fra loro perfettamente distinti, e il fatto stesso che non lo siano è la dimostrazione di un rapporto perverso che abbiamo non solo con i cani, ma soprattutto con i figli.
L’amore dei cani nei confronti del padrone è puro, indiscusso, fedele, dicono a ragione gli amanti dei cani. «Non come quello degli esseri umani» è il sottinteso a volte esplicito, a volte implicito. Di certo aspettarsi che un altro essere umano – che sia un partner, un amico, o peggio ancora un figlio – ci ami con devozione canina è pura follia. Il problema, però, non sono le persone false e cattive (contrapposte agli animali puri e innocenti), ma l’incapacità di instaurare un rapporto alla pari con un altro essere umano, un legame di certo più complicato e sfidante rispetto a quello con un animale domestico.
Fare figli pensando di mettere al mondo qualcuno che ci amerà per sempre, in maniera totale e disinteressata, senza conflitti e senza mai metterci in discussione (come il cane col padrone) è la premessa per un disastro educativo e una sicura delusione genitoriale. Se le nostre aspettative sono queste, meglio davvero prendersi un cane.
Tu non hai cani, non puoi capire
A questo punto, per non scontentare nessuno, dovrei dire che ho due bambini, ma che amo moltissimo anche i cani. Purtroppo sarebbe una bugia: i cani non mi piacciono, e non ne ho mai avuto uno.
Non c’è nessun trauma pregresso: non sono mai stata azzannata e ho conosciuto diversi cani simpatici. Però non ho mai pensato, neanche da piccola: «Voglio un cane» (ho avuto una gatta e l’ho adorata, ma non credo valga uguale). Il pensiero di dovermi occupare degli escrementi di un altro essere vivente vita natural durante mi ha sempre fatta desistere: piuttosto che prendermi un cane farei un altro figlio, con la ragionevole certezza che almeno, prima o poi, imparerebbe ad andare in bagno da solo.
Perciò me lo dico da sola, prendendo spunto dalla frase antipatica (ma sostanzialmente vera) rivolta a chi non è genitore: «Non hai figli, non puoi capire». Io non ho cani e non posso capire fino in fondo cosa significhi averne uno. Posso intuire che sia una bella esperienza e mai mi permetterei di mettere in discussione l’affetto che lega fra loro cane e padrone.
Quando si parla di amore – inteso come relazione affettive di qualsiasi genere – il mio motto è mutuato dal titolo di un film di Woody Allen: «Basta che funzioni». Le classifiche e i giudizi hanno poco senso, in fatto di sentimenti. Se per alcuni il cane soddisfa bisogni di affetto e vicinanza per me va benissimo, anzi: non mi riguarda proprio.
L’equivalenza fra cuccioli umani e pelosi
L’idea di prendersi un cane o fare un figlio per soddisfare i propri bisogni emotivi è il frutto di una visione della vita che non ha precedenti nella storia umana. Da questo punto di vista, effettivamente un cucciolo d’uomo o di animale si equivalgono: creature inermi che dipendono da noi, e ci ricompensano delle cure prodigate riempiendoci la vita con la loro dolcezza e la loro allegria.
Ne consegue che si tratta solo di scegliere il “modello” più adatto a noi, o entrambi, se possiamo permetterceli. Non è un caso che i prodotti per la cura della prole – umana o pelosa – stiano diventando sempre più costosi e simili fra loro: giochi, gadget, cibi dedicati, vestitini sfiziosi e passeggini per tutti.
Ai cani vengono dati nomi da bambini - come fa notare la ministra Roccella, che pure avrebbe molto altro di cui occuparsi – ma il dramma vero è che ai bambini vengono dati nomi che andrebbero bene per un cane (non faccio esempi per non farmi nemici inutili).
Le zampe sulla tovaglia
Un gentile lettore, commentando l’articolo sui bambini al ristorante, ci ha scritto: «Sono veramente sorpreso che esistano ristoranti child free quando è ormai “normale” cenare in presenza di 2 o 3 cani minimo che in alcuni casi ho visto mangiare al tavolo in braccio ai padroni con le zampe sulla tovaglia!!! Recentemente siamo stati in una pizzeria a Bergamo dove ad un tavolo c’erano con 4 persone con 5 cani. Mia moglie è allergica e una volta fatto presente il problema il ristoratore ci ha consigliato di andarcene, perché il gruppo con 5 cani era arrivato prima di noi».
Come rileva l’acuto commentatore, anche a livello di servizi i padroni di cani sono spesso trattati alla pari o meglio dei genitori con bambini. Dopotutto, non ho mai sentito bollare un cane come «maleducato»: si dà per scontato che qualsiasi suo atteggiamento fastidioso – dal fare pipì sotto i portici all’abbaiare di notte, al ringhiare minaccioso a un passante – non sia una colpa, ma una questione d’istinto, che il padrone può solo in parte controllare. Un tipo di indulgenza “totale” che raramente è concessa ai bambini.
Una questione privata?
Il malinteso, ancora una volta, riguarda più i bambini che non gli animali. Prendersi un cane – se non lo si abbandona, non lo si maltratta e non lo si usa come arma impropria – rimane una questione privata. Fare un figlio no.
Le abitudini dei padroni dei cani – una volta che fra queste c’è la raccolta degli escrementi dei loro animali – non mi riguardano: possono chiamare il loro cucciolo Antongiulio e dargli da mangiare caviale in ciotole d’oro, portarlo in passeggino dallo psicologo e farlo dormire nel lettone. Può sembrarmi bizzarro, ma chi sono io per giudicare. Basta che funzioni.
Un bambino è un’altra cosa. È un cittadino a sé stante: la sua presenza, la sua crescita, la sua cura, il suo benessere non riguardano solo la sua famiglia, ma sono un valore sociale indiscutibile, che prescinde dal fatto che i bambini ci piacciano o meno. Per questo esistono le scuole pubbliche, i pediatri pubblici, i giardinetti pubblici, i servizi per l’infanzia. Per questo noi genitori ci irritiamo moltissimo quando, di fronte alle nostre difficoltà, che siano economiche o di conciliazione casa-lavoro, ci viene risposto con durezza e stolidità: “Non fate figli se non potete permetterveli”.
Avere un figlio non è come accendere un leasing per un’auto costosa o comprarsi un cane di razza. Non è un vezzo, una vocazione o un’esigenza privata. Non è un lusso, un di più, qualcosa da “concedersi” o meno a seconda di quanti soldi ci avanzano a fine mese o se abbiamo la casa con giardino. Un bambino è la vita stessa che si perpetua. Il nostro lavoro di genitori ha un valore sociale che l’essere proprietari di cani, semplicemente, non ha.
Potrei dire che nessun cane ci pagherà mai le pensioni o si accollerà parte del nostro debito pubblico, ma suonerebbe troppo utilitaristico. Rimane il fatto che i bambini di oggi manderanno avanti la baracca domani: costruiranno le case, aggiusteranno i computer, sforneranno il pane, esploreranno lo spazio, cureranno gli anziani. E, se non bastasse, faranno pure i veterinari. Se non altro per questo andrebbero trattati bene, almeno quanto i cani.