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Le poesie brutte fanno danno. Parola di Bruno Tognolini

Intervista. Uno degli appuntamenti più attesi del festival letterario «La Vallata dei Libri Bambini» è quello – rivolto “ai grandi” – con il poeta Bruno Tognolini, che il 30 marzo terrà una lectio magistralis dedicata alla poesia. E chi pensa che le rime per bambini siano un passatempo senza importanza si sbaglia di grosso

Lettura 4 min.
Un dettaglio da «Rime scolare», nuovo libro di Bruno Tognolini

Bruno Tognolini è fra i maggiori scrittori e poeti per bambini (e per i loro grandi) attivi oggi in Italia. Premio Andersen nel 2007, autore di libri (55 titoli coi maggiori editori nazionali), ha scritto per «L’Albero Azzurro» e «La Melevisione». Fa anche teatro, saggi, canzoni e compone tantissime rime d’occasione. Nato a Cagliari, vive a Bologna, ma viaggia spesso in tutta Italia.

Sarà a Songavazzo, in provincia di Bergamo, per il festival letterario « La Vallata dei Libri Bambini » il 30 marzo, con una lectio magistralis gratuita dedicata alla poesia (ore 20.45, Sala Civica Benzoni, via Vittorio Veneto 18). Il suo è un ritorno, perché al festival è sempre stato legato, ancora prima che nascesse, come ci ha raccontato.

MM: Lei collabora con tante scuole, tanti festival, tanti librai. Com’è finito anche in Val Seriana?

BT: Ho conosciuto Roberto Squinzi, della Libreria Alessia di Fiorano al Serio, in un’edizione passata della «Fiera dei Librai» a Bergamo. L’entusiasmo che ho respirato mi ha coinvolto, c’era un clima di fiducia che ho tanto apprezzato, come a loro è piaciuta la mia «Filastrocca dei Librai Scatenati». Poi mi hanno chiamato a Fiorano a fare degli incontri e anche Roberto è venuto a Cagliari per vedere il “mio” festival «Tuttestorie», credo il più importante in Italia rivolto all’infanzia. Ho visto molti festival nascere così, dopo anni di incontri e lavoro nelle scuole, e ritorno sempre volentieri dove c’è un buon sentimento.

MM: È vero che ha inventato lei il titolo «La Vallata dei Libri Bambini»?

BT: Sì, non ricordo bene come sia nato, ma ci sono alcuni trucchi. La locuzione «libri per bambini» è logora e inflazionata: se togliamo il «per» diventa più scintillante. Poi, certo, c’era la valle del fiume Serio, ma se diciamo «vallata» ha un’eco più fiabesca. Quindi, ecco fatto il titolo, che così suona più ampio e ombroso.

MM: È sua abitudine spendersi così tanto per queste iniziative?

BT: Le scuole, i festival, le librerie sono il mio campo di lavoro. I contadini non curano solo il loro terreno, ma anche le strade, le vie, gli argini dei torrenti, i boschi. Sono attività che servono a migliorare la qualità di tutta la valle, non solo il loro appezzamento, almeno in un sistema equilibrato e armonico.

MM: Di cosa parlerà nella sua lezione «Il mormorio poetico del mondo. La poesia per i bambini e dei bambini»?

BT: Parlo del sottogenere poetico della filastrocca, che ha una forte componente di ritmo e rima. Della mia produzione, ma anche di quella precedente, successiva, a fianco. Parlo della preghiera, della giaculatoria, del proverbio, dell’invettiva, dello scongiuro. Espando questo sguardo della parola in rima e in metrica fino alla trap, ma il mio focus sono sempre i bambini.

MM: C’è una poesia “universale” dell’infanzia?

BT: Registro le filastrocche orali dei bambini e sono bellissime. Ho creato un mio archivio, detto «P.O.L.P.A.»: «Poesia Orale Ludica Puerile Autentica». Raccolgo poesie in italiano, nei dialetti (dove i bambini ancora lo parlano) o nelle lingue dei migranti. Mi è capitato di collaborare con bibliotecarie giapponesi venute a Bologna: quando spieghiamo loro il progetto annuiscono come fanno nella loro cultura, con grandi sorrisi e inchini. Poi, quando sentono le registrazioni, annuiscono come a dire: «Ah sì, certo, le conosciamo». Anche se, ovviamente, non le hanno mai sentite prima.

MM: E cos’hanno in comune le filastrocche di tutto il mondo?

BT: Il cuore, il ritmo, il battito. Già dalla pancia della mamma i bambini sentono il cuore battere, è uno schema mentale. E tutte le madri del mondo, per istinto, parlano ai bambini con la lallazione, in rima. È il principio che sta dietro anche a «Mammalingua», il libro dove ho raccolto 21 poesie per neonati.

MM: È vero che la poesia è di chi la usa? Ma si può usare la poesia?

BT: Si usa con equilibrio, le muse sono esigenti e una poesia è contenta di essere bella. Se è bella non si logora. Ho scritto una filastrocca contro il raffreddore, ma non serve a farlo passare, almeno credo. Allora non serve a niente? È una domanda che faccio ai bambini.

MM: Cosa rispondono?

BT: Che non lo fa passare, ma ti incoraggia, fa divertire e venire il buonumore, e anche qualcosa di più complesso. Mia nonna, di Erba, recitava la preghiera a Santa Barbara quando c’erano i temporali. Serviva? Non so quanto ci credesse, è un discorso etnoantropologico complesso. Io dico che serve, se la poesia è bella.

MM: E se è brutta?

BT: Fa danni. Quello delle poesie per bambini è un settore molto delicato, specie quando si parla di aspetti valoriali su cui c’è grande richiesta, come il razzismo o il bullismo. Ma se i libri sono brutti la causa non ne giova, e i ragazzini giustamente preferiscono la consolle di un videogioco. Questo politically correct buonista ha creato rime orrende.

MM: Mi fa un esempio di una poesia per bambini veramente brutta?

BT: Cito a memoria: «Sogno che bruci ogni razzismo dentro il fuoco dell’altruismo, sogno la nascita di nuovi ideali dove gli uomini son tutti uguali».

MM: Accidenti.

BT: Non c’è nulla di sbagliato nel contenuto, ma è brutta perché non canta, non sogna, non incanta. Le poesie non devono essere didascaliche, devono avere un inciampo, un guizzo, una crepa. Devono essere come fiori che proiettano un’ombra per terra. Devono essere belle, non è sufficiente fare rima. È giusto dire ai bambini il bene, ma bisogna dirlo bene.

MM: E chi lo dice bene?

BT: Chi ha qualche inclinazione e ha anche studiato il tema. Conosco tanti versi a memoria, da Dante a Petrarca, a Foscolo e me li ripeto camminando. C’è un allenamento che fa il rimatore affinché le rime siano belle. A volte mi capita che delle maestre mi propongano i loro versi per chiedermi cosa ne penso. Di solito rispondo che funzionano come funzionerei io a fare il supplente nella loro classe un paio di mesi: non lo saprei fare (ride, ndr).

MM: È contento quando la paragonano a Gianni Rodari?

BT: Ne sono contento e onorato, con le dovute differenze. Ho una metrica più ingessata della sua e poi sono passati tanti anni, la produzione è per forza diversa.

MM: Il gusto per la poesia è una cosa che si può insegnare?

BT: Sì, a chi ha una predisposizione, esponendolo a radiazioni di poesia bella, purché sia bella. Penso a Roberto Piumini, Giusi Quarenghi, Chiara Carminati. Se c’è esposizione e predisposizione la poesia fiorisce, come le piante o altri organismi. Se non c’è un’inclinazione no, ma potranno amare altre cose.

MM: E lei, quali poeti ha sul comodino?

BT: Sto leggendo Valerio Magrelli, con grande amore. Leggo tanto Borges, Virginia Woolf, Thomas Eliot (il mio preferito), Mariangela Gualtieri. Leggo e ripeto in lingua originale, anche se poi l’inglese non lo so parlare. In traduzione leggo Wisława Szymborska, non so come sia il suono però. E come dico sempre ai bambini, le poesie hanno sempre due ali: l’ala del suono e l’ala del senso.

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