Mattarella garante
Il lavoro non è finito

Le Costituzioni sono il filo di ferro e l’anima delle moderne democrazie. Per un verso, la somma di quei principi generali che incarnano i diritti fondamentali delle persone e della loro libertà, per altro verso il cuore pulsante delle società, l’elemento senza il quale l’organismo non ha più vita. Le Costituzioni vanno, quindi, tutelate nella loro essenza, perché in esse sono racchiusi i valori nei quali si riconosce un popolo; nel contempo vanno preservate da torsioni che comprometterebbero la stabilità delle istituzioni delle quali costituiscono

il fondamento. All’interno della cornice democratica della Carta costituzionale vanno analizzati ruoli, funzioni e compiti degli organi tra i quali si innesta necessariamente una dialettica che ha valenza essenzialmente politica. Inteso l’aggettivo nel suo significato più alto di fondamento della convivenza nella polis, comunità in cui i cittadini si riconoscono in base a un patto originario di rispetto delle regole e autolimitazione delle libertà di ciascuno. È dentro il principio democratico dei reciproci rapporti tra i diversi organi costituzionali – scriveva 40 anni fa uno dei maggiori costituzionalisti italiani, Alessandro Pizzorussso - che occorre «individuare il flusso principale del processo politico».

Il principale flusso è senza dubbio quello che si instaura tra il corpo elettorale e le forze politiche chiamate a rappresentarlo nelle sedi proprie (Parlamento e Governo). Accanto ad esso – osservava Pizzorusso - esistono «corsi paralleli (aventi) regole che contemperano le esigenze fondamentali derivanti dall’attuazione del principio democratico» con «l’opportunità di introdurre nel processo politico momenti di riflessione». In tale contesto il presidente della Repubblica è chiamato a intervenire nei momenti di crisi per «rimettere in moto il processo politico». È ciò che l’ordinamento prevede e al quale Mattarella si è attenuto con scrupolo assoluto. Non altrettanto può dirsi di chi ha provato a forzargli la mano, senza rendersi (forse) conto che ciò avrebbe comportato un vulnus irreparabile al ruolo di «garante» spettante al Capo dello Stato.

Nel dibattito – convulso e troppo spesso sopra le righe – dei tre mesi trascorsi dal voto è stato contrapposto, in modo strumentale, il principio della volontà popolare a quello degli organismi ai quali è affidato il compito di muoversi nel rispetto delle regole. Vi era l’obbligo di cercare soluzioni (politiche e giuridicamente corrette) in grado di venire a capo di una situazione del tutto inedita, derivante da un risultato elettorale che non definiva a priori una maggioranza parlamentare certa alla quale il presidente della Repubblica avrebbe dovuto (automaticamente) rivolgersi nell’affidare il compito di formare il Governo. In siffatte condizioni al Capo dello Stato è toccato l’onere di sbrogliare una matassa, presentatasi da subito quasi inestricabile. Utilizzare l’esito elettorale come una clava con la quale abbattere tutti quegli elementi che si presentavano come inutili ostacoli all’inveramento della «volontà popolare» è stata un’inutile forzatura che giorno dopo giorno - in uno stillicidio di dichiarazioni contraddittorie - ha reso più aggrovigliata la faccenda.

Uno scenario nel quale occorreva muoversi con estrema prudenza, per evitare derive pericolose. Mattarella ha messo, fin dall’inizio, al primo posto gli interessi del Paese, esercitando le sue prerogative in modo ineccepibile e paziente. Soltanto la sua tenacia - unita a un rigore istituzionale che gli ha consentito di passar sopra ad atteggiamenti irriguardosi al limite del vilipendio - ha permesso che si arrivasse alla formazione di un «governo politico», dopo un «balletto» senza precedenti nella storia della Repubblica.

Il lavoro non è finito. Il ruolo di garante spettante al Capo dello Stato si sposta su altri piani. Nessuno può dubitare che Mattarella svolgerà in modo rigoroso e attento il suo compito di custode dei valori fondanti dell’ordinamento. I poteri del presidente della Repubblica sono chiaramente scritti nella Costituzione: la richiesta, con messaggio motivato, di nuova deliberazione su una legge ritenuta in contrasto con i principi costituzionali (art 74); messaggi alle Camere su questioni sulle quali ritenga utile intervenire. In ciò sta la funzione «politica» super partes del Capo dello Stato.

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